Scroll Top

Alcune riflessioni su Roma futura.

Roma Futura, questo il titolo dell’incontro che il gruppo provinciale di Sel ha proposto alla città. In una sala piena si sono succeduti gli interventi di Gianluca Peciola, Gemma Azuni, Paolo Berdini, Mauro Pallante, Marco Miccoli, Massimo Cervellini e di chi scrive. Non è mancato il dibattito, a riprova dell’interesse per una discussione che coinvolgeva rappresentanti istituzionali, forze politiche, intellettuali. Andranno certamente fatte le primarie anche a Roma, intanto con Roma futura abbiamo iniziato a discutere di contenuti.
Quanta acqua sotto i ponti è passata dal 2008: era l’anno horribilis della sinistra e un anno di svolta per il mondo e l’Italia: fine di una stagione politica nella città; conclusione in modo fallimentare dell’esperimento della vocazione maggioritaria del PD e scomparsa di un pezzo di sinistra dal Parlamento italiano; avvio della prima crisi economica dell’epoca della globalizzazione. Era “l’anno zero”.
In nemmeno tre anni il quadro politico è decisamente cambiato, non solo a Roma. Del resto è difficile slegare i destini della capitale dal paese Italia. Non a caso l’iniziativa nasceva da una promessa di appuntamenti futuri presa in occasione del ricordo di Aldo Natoli che il circolo di Garbatella aveva organizzato a un mese dalla sua morte. Avevamo riletto i suoi discorsi nell’aula comunale. Erano gli anni di Capitale corrotta, nazione infetta, come denunciava su L’espresso Manlio Cancogni nel 1955.
Capitale corrotta nazione infetta, come non ripensarci oggi. Precipita una crisi politica e civile senza precedenti mentre il fallimento del trentennio neoliberista rischia di mandare al macero il futuro di migliaia di giovani. Non a caso in Europa e nel Mediterraneo è in atto una rivolta generazionale.
Urge una politica all’altezza di questo passaggio. Si può vincere questa destra. In Italia e a Roma. Guardiamo alla capitale, in particolare a quattro dati:
a) la crisi della destra romana si è mostrata a una velocità insospettabile (dalla corruzione ai fallimenti strategici);
b) il quadro politico nazionale per la giunta Alemanno non è di conforto, Roma è una delle vittime illustri di Tremonti e della Lega, la riforma di Roma Capitale al momento si è ridotta al cambio della carta intestata del Comune;
c) il centro-sinistra romano, che governa alcuni municipi e la Provincia, si presenta come uno dei più solidi nel quadro nazionale, come ha dimostrato il voto del comune nelle regionali del marzo del 2010. Italia2013 ha analizzato il voto in alcune zone nuove della città (Ponte di Nona, l’area Bufalotta-Porta di Roma e l’area sulla Laurentina, Vallerano – Castel di Leva), zone dove gli abitanti aumentano, tra quelle di maggiore criticità per il centrosinistra, ma in realtà contendibili. La Polverini perde più di 12.000 voti che nel 2008 erano andati ad Alemanno;
d) a sinistra oggi c’è Sel, da qui arriva l’unica proposta politica originale di superamento dello schema obsoleto sinistra riformista vs. sinistra radicale, uno strumento per uscire dalle sabbie mobili del 2008.
La giunta esplode su due fronti: non riesce a governare i problemi della città, eppure la destra doveva riportare al centro “l’amministrare” vicino ai cittadini, contro il “far poesia” dell’Auditorium e di Veltroni. Oggi quotidianamente arranca, vittima in molti casi di faide interne relative al controllo delle risorse pubbliche (il modello del sub-appalto di fette di governo ai rappresentanti degli interessi organizzati presenti nel centrodestra). Neppure riesce a far avanzare proposte simboliche in grado di segnare almeno un punto (pensiamo all’incredibile caso del Gran Premio) o superare il tempo di vita di un annuncio (vedi le demolizione di Tor Bella Monaca). Non c’è governo, a Roma, ancora una volta decide la rendita. Intanto, dopo Parentopoli esplode il caso Orsi.

Tutto questo non riporta automaticamente a sinistra la città e non aiuta a fare meglio e bene opposizione. Per fare opposizione davvero bisogna mettere in cantiere un’altra idea della città, di quest’area metropolitana e un’altra idea di politica. Segnare una discontinuità anche con quello che noi siamo stati e provare a riconnettere vita e politica.
I problemi dei romani sono chiari: a) il reddito, in particolar modo quello giovanile; b) la casa; c) i servizi, con un particolare sguardo alla “fatica” femminile; d) i trasporti; e) l’economia, con il rilancio dell’economia della cultura e della sostenibilità. La cultura e la creatività sono una delle vocazioni principali dell’area metropolitana di Roma: sono importanti come settore economico, come elemento per l’integrazione dei suoi abitanti e per la costruzione e il rafforzamento dell’identità e della coesione territoriale. E’ soprattutto in questa area metropolitana che le politiche culturali degli enti locali – che già hanno giocato un ruolo rilevante nello sviluppo degli ultimi anni – vanno intese sempre di più come politiche industriali volte a cambiare il modello di sviluppo.

Certo non basta individuare i temi. Va promossa l’agenda delle “riforme che cambiano la vita”: la crisi ha rafforzato questa sensazione di urgenza nei cittadini rispetto ad alcuni temi specifici.
Per ognuna delle riforme che cambiano la vita andrebbe strutturata una campagna di mobilitazione, coinvolti cittadini, intelligenze e passioni. Cercati fondi e strumenti. Va stretta un’alleanza – non casuale e temporanea – con le competenze e gli esperti che cercano un’interlocuzione con la politica, nei diversi settori che riguardano “le riforme che cambiano la vita”. Sel a Roma dovrebbe essere il motore di questo processo, promuovendo un’adeguata sede politica di scambio con soggetti e intelligenze.
In questa sfida di politica partecipata credo vada rimesso in discussione anche il modello del sindaco Re Sole e quello di governance che ne deriva. La discussione della riforma dell’area metropolitana è un’occasione per ripensare poteri e funzioni. La collegialità della giunta deve essere il nuovo modello della gestione delle policy comunali, assieme a un decentramento reale in direzione dei municipi e dei comuni dell’area metropolitana. In questo davvero l’esperienza passata può insegnarci qualcosa. Il modello degli accordi di programma sul Piano regolatore della città ha mostrato come sia aggirabile il dissenso politico, a favore degli interessi particolari. Abbiamo bisogno di aprire un grande laboratorio politico e sociale. Tanto più forte, non ideologico, competente e radicato socialmente sarà il nostro punto di vista sulle politiche della città e sul loro insieme, tanto più sarà possibile esprimere un governo autonomo dai poteri forti della città.

Cecilia D’Elia

Post Correlati