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Di Siena, frammenti di storia del Pci meridionale

pubblicato in Alternative per il socialismo.

ll libro di Piero Di Siena, Nel Pci del Mezzogiorno. Frammenti di storia sul filo della memoria (Calice Editori, 2013), racconta un tempo che sembra ormai lontano. Ed è stato difficile in questi anni misurare la distanza che ci separa da quell’esperienza. La ricostruzione storica e critica di quello che è stato il Partito Comunista Italiano è uno dei tasselli incompiuti dell’identità del nostro Paese. Abbiamo autobiografie di alcuni dei protagonisti di quella vicenda e alcune ricostruzioni e bilanci, ma manca una vera e propria rielaborazione critica, frutto di un’indagine storica accurata.

 

Questa rimozione rende più debole la cultura democratica italiana e fragili le radici della partecipazione politica; stentano a cogliersi i processi profondi della società italiana e la sua mai pienamente compiuta costituzionalizzazione. Piero Di Siena, che del partito meridionale è stato un dirigente, ci affida queste sue memorie con la dichiarata intenzione di contribuire alla costruzione di materiali e fonti per una possibile futura ricerca. I suoi scritti riguardano il Pci meridionale e si muovono tra la Basilicata e la Puglia, ricostruiscono il profilo di alcune figure significative e momenti importanti della storia politica meridionale. Sono articoli o interventi in parte già pubblicati. Ricordi o ritratti che offrono un’ipotesi interpretativa del Pci e dei suoi caratteri, relativa a cosa sia stata “un’originale evoluzione del partito di classe”, il cui radicamento si realizzava attraverso la forza egemonica di una delle componenti del movimento operaio e contadino, scelta non per ideologia, ma nel vivo della concreta organizzazione materiale della società italiana. Per questo il radicamento popolare del Pci ebbe caratteri diversi nel triangolo industriale del nord, nel centro Italia, nel mezzogiorno. Il rapporto tra le classi che si realizzò nel partito seguì l’andamento ineguale dello sviluppo italiano, dando vita in modo originale al gramsciano “blocco storico”. Nel meridione, ad eccezione di Napoli e Taranto, dove l’insediamento del partito era operaio anche prima del processo d’industrializzazione guidato dalle partecipazioni statali, il ruolo egemonico fu svolto dalle masse contadine, fino al miracolo economico, alla crisi dell’economia agricola del sud e all’emigrazione. Negli anni settanta si guarda ai ceti medi e alle realtà urbane e di questo tentativo Di Siena racconta in relazione sia al movimento studentesco di Bari e alla figura di Francesco Laudadio che all’esperienza del terremoto del 1980. Ma i ceti medi meridionali non riuscirono ad essere il collante di un nuovo blocco, segnando così la fragilità della sinistra meridionale.

 

Quello che preme a Di Siena è mostrare il nesso tra funzione nazionale e internazionale del partito nuovo di Togliatti e il suo radicamento sociale, il suo originale carattere “interclassista”. La crisi di quel partito si spiega anche con il tramonto di quel blocco storico e i mutamenti della società.

 

Mutamenti che hanno riguardato la condizione umana nel suo complesso e hanno affermato il primato dell’individuo. Sotto il segno egemonico della rivoluzione neoconservatrice questo primato è stato giocato contro il legame sociale, libertà contro uguaglianza. Questo mutamento ha sconvolto le relazioni sociali e il rapporto tra singoli e agire collettivo. Ma proprio per questo possiamo cogliere lo spessore delle singolarità di una volta, quelle che operavano pensando di appartenere a masse in movimento.

 

Ci sono nel libro alcuni bellissimi ritratti. Uomini di periodi molto diversi che vengono collocati dentro una dimensione temporale più ampia della loro esistenza e un tessuto storico e politico mai solo locale. Uniche e irripetibili combinazioni di intelligenza e passione che Di Siena racconta, ricorda o ricostruisce con grande affetto e rispetto, radicando sempre la loro passione, il loro spirito di libertà, all’interno di una coscienza maturata attraverso il succedersi delle generazioni e degli eventi. Per esempio, si veda Paolo Laguardia, licenziato dalla Fiat di Melfi. Quelli che Di Siena definisce radicati convincimenti liberaldemocratici gli vengono attribuiti non tanto in ragione del suo essere un giovane che ha incontrato la crisi della tradizione comunista, quanto per il suo essere in continuità con la particolarissima tradizione giacobina della sinistra del suo paese di origine, Avigliano. Ma come Paolo Laguardia anche Michele Mancino, Michele Preziuso, Francesco Laudadio, Nino Calice, Raffaele Giura Longo, protagonisti in epoche diverse della storia della sinistra meridionale, vengono narrati come parte di una genealogia. Questa collocazione genealogica non sminuisce la loro singola soggettività. Al contrario, può esaltare il guizzo individuale che li portò ad essere altro rispetto alla loro origine. Del resto non mancavano solitudini, prezzi pagati alla propria libertà. E c’erano invece legami e convincimenti che ti facevano sentire parte di un mondo, anche se percorrevi solo chilometri e chilometri a piedi sulle impervie strade lucane per costruire i nuclei del partito.

 

Un partito che nei giorni del terremoto del 1980, anche grazie alla direzione di Piero Di Siena, saprà essere punto di riferimento per la società e le istituzioni sconvolte dal sisma. Arrivò in quei giorni da tutta Italia la mobilitazione di un popolo capace di solidarietà e partecipazione. Come se si esprimesse in quell’ondata l’ultimo fuoco di quel processo di democratizzazione che, nonostante il terrorismo, aveva segnato il decennio appena concluso. Poi, per usare le parole di Di Siena, si entrò nel tunnel degli anni 80. Inizia un trentennio i cui esiti sono davanti gli occhi di noi tutti. Ed eccoci qui, a misurarci con la difficoltà di costruire un’uscita a sinistra dalla crisi della seconda repubblica. Sarebbe così importante poter ricostruire questo tassello rimosso dell’identità nazionale. Avercela, questa genealogia, per poter avere la libertà di operare tagli e scarti. Intanto ringraziamo Di Siena per questi frammenti.

 

 

Cecilia D’Elia

 

 

 

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