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Dopo il 2013.

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da Italia2013.org

Infine anche il 2013 sta passando, l’anno che ha dato il nome al nostro blog termina e mentirei se dicessi che lo avevamo immaginato così. Non era questo l’esito che avremmo voluto e continuo a pensare che avrebbe potuto essere diverso se solo il centrosinistra avesse giocato meglio le sue carte. Ma di questo abbiamo già detto nei difficili giorni che dalla sconfitta elettorale hanno visto susseguirsi dell’impossibilità di formare un governo e di eleggere un Presidente che rappresentassero la domanda di cambiamento espressasi nelle urne. Le elezioni di febbraio hanno terremotato la geografia politica del paese, ma il sistema ha risposto con la grande glaciazione.Si fa sempre più evidente che alla crisi economica si somma la crisi endogena del sistema politico e istituzionale italiano che risponde arroccandosi nel governo del Presidente. In questo passaggio si manifesta la crisi di un intero ceto politico, non solo della destra egemone nel ventennio berlusconiano ma anche del centro-sinistra, incapace di proporre alternative credibili nel momento della fine del suo avversario. Il passaggio di testimone ai quarantenni, che Letta orgogliosamente rivendica, avviene solo grazie alla mediazione di un Presidente ottuagenario al suo secondo mandato.

Ma le larghe intese, nate già piccole (non potendo contare sul sostegno della gran parte del paese: astensionista o all’opposizione), si sono fatte ancor più piccine con la rottura tra Berlusconi e Alfano e la rinascita di Forza Italia. In sei mesi si è consumata un’ipotesi che, tenendo insieme le forze politiche protagoniste della cosiddetta seconda repubblica, ambiva ad essere un governo costituente o comunque in grado di completare la mai conclusa transizione italiana facendo da argine alle derive populiste. Peccato che questo avveniva alleandosi con il miglior interprete del populismo nostrano e del suo tratto eversivo. Peccato che questo avveniva in continuità con le politiche economiche di austerità che non solo impoveriscono ceto medio e destinano alla disoccupazione intere generazioni, ma minano la tenuta democratica dei paesi europei erodendo il legame sociale e alimentando esse stesse quel populismo che si voleva combattere.

In Italia quattro milioni di persone possiedono il 34% del reddito totale. Nel 1983 ne possedevano il il 26%. Confindustria paragona l’impoverimento e le disuguaglianze del nostro tempo agli effetti di una guerra. In sei anni sono raddoppiati i poveri e i senza lavoro e l’Italia è sempre più diseguale e divisa, la linea Roma-Pescara traccia il confine tra due realtà socioeconomiche .

L’Italia è un paese sempre meno giusto. Il Censis ci ha fotografato come una società sciapa e infelice: infelice perché sempre più diseguale, sciapa perché senza fermento.

Invece che fermento e capacità di ricostruzione di un paese che sembra uscito dalla guerra, in assenza di riforme che cambino la vita, la rabbia esplode. E la rabbia non produce nuova politica, ma può prendere strade note: xenofobe ed eversive. Sfiancata da politiche economiche di austerità, l’Italia – come l’Europa – è attraversata da pulsioni che possono avere esiti nefasti.

La rottura con Berlusconi sembrava aprire la strada ad una più omogenea maggioranza politica centrista, ma le primarie del Pd, l’alta partecipazione registrata e l’investitura plebiscitaria di Renzi come leader del centro-sinistra italiano sembrano far precipitare questa ipotesi. Al di là della sua cultura e delle sue stesse proposte, Renzi vince raccogliendo una domanda di alternativa rispetto al vecchio centrosinistra e al suo gruppo dirigente e rispetto a un futuro melmoso di piccole intese neo-centriste.

Oggettivamente si riapre un varco, e fa bene Landini ad accettare la sfida del neo-segretario del Pd. Culture, idee e proposte di sinistra devono stare in campo. La discussione sul cosiddetto job act e quella sul futuro dell’Europa saranno fondamentali. Il 2013 finisce, ma la storia continua.

Cecilia D’Elia

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