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Con i lavoratori della cultura

Sabato 11 gennaio Sel sarà in piazza con i lavoratori della cultura. 500No al Mibact e dignità al lavoro, con queste parole d’ordine oltre 20 sigle tra organizzazioni e associazioni invitano i cittadini a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà alle ore 10.30 in piazza della Rotonda (Pantheon) a Roma. Al centro della protesta la richiesta al Ministero dei beni e della attività culturali e del Turismo di ritirare il bando per la selezione di 500 giovani giovani laureati da formare nelle attività di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio culturale italiano.

E’ un impegno preso dal governo Letta nel decreto “Valore cultura”. Sono “giovani”, fino a 35 anni, che dovranno essere bravissimi, come del resto tanti di loro sono, ma che guadagneranno, per un anno, uno stipendio lordo di 417 euro al mese! Un paradosso che i parlamentari di Sel in occasione della discussione del decreto non avevano mancato di sottolineare, una misura insufficiente all’interno di un testo che, come pure abbiamo riconosciuto, per la prima volta dopo tanti anni ha introdotto nuove risorse per la cultura, finanziato il tax credit per il cinema e per le produzioni culturali. In seguito alle proteste il Mibact ha in parte modificato il bando ma la sostanza dell’impianto non cambia: si propone un’iniziativa di formazione in un ambito in cui la formazione c’è e quello che drammaticamente manca è il lavoro.
Siamo molto lontani dal salto di qualità di cui l’Italia avrebbe bisogno.
Nessuna politica di assunzioni, per un ministero in cui vent’anni di blocco del turnover e di tagli delle risorse hanno provocato sia depauperamento delle risorse umane che invecchiamento del personale, che registra un’età media di 57 anni. Ormai il ricorso al lavoro esterno non riguarda più solo funzioni di supporto, ma interessa la stessa missione istituzionale del ministero. Il settore dei beni culturali è segnato da uno scarto drammatico tra l’offerta di lavoro competente delle giovani generazioni di esperti e una realtà lavorativa fatta di precarietà, frammentazione e dequalificazione. Una condizione che questo mondo condivide con tutta la realtà della cultura italiana.
Lo scarso valore dato al lavoro culturale è la spia di una miopia delle classi dirigenti italiane che non hanno mai realmente creduto e investito nel valore cultura e non hanno promosso le necessarie politiche.
Eppure lo studio Unioncamere/Symbola (Io sono cultura 2013) ci ricorda che la cultura rappresenta il 5,4% della ricchezza prodotta, equivalente a 75 miliardi di euro. Un settore che dà lavoro a un milione e quattrocentomila persone, ovvero al 5,7% del totale degli occupati in Italia. Allargando lo sguardo a tutta la “filiera della cultura”, ossia ai settori attivati come il turismo legato alle città d’arte, il valore aggiunto prodotto dalla cultura dal 5,4 arriva al 15.3% del totale dell’economia nazionale.
E’ una miopia che oggi ci fa pagare un costo altissimo in termini di possibilità di futuro, ma anche di qualità della cittadinanza. La cultura è prima di tutto autonomia delle persone, garanzia di pluralismo.
La rivoluzione conservatrice italiana è stata all’insegna della produzione senza conoscenza, ha separato lo spazio dell’arte da quello della vita e svuotato il tessuto urbano. E alla fine di un ciclo che aveva già minato alle basi le politiche culturali pubbliche la crisi è stata usata come la grande occasione per delegittimare definitivamente l’intervento pubblico in cultura. Ma proprio la crisi, la sua drammaticità, ci chiedono di osare di più, di cambiare paradigma, di saper vedere nella cultura, nel nostro patrimonio artistico e paesaggistico la grande risorsa per il nostro futuro e per la nostra dignità. Non a caso la nostra Costituzione nello stesso articolo ci dice che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico.”
Nello stesso articolo, perché senza scuola e università e ricerca, senza produzione culturale, non c’è sguardo che veda il patrimonio e, nello stesso tempo, il patrimonio è scuola, è educazione all’uguaglianza.
Qui c’è il grande investimento da fare, che è un investimento sulla creatività, sulla nostra libertà, e sul lavoro qualificato e competente di tantissimi operatori.

Cecilia D’Elia

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