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Città, convivenza e panchine

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Ho saputo dalle proteste di alcuni abitanti del quartiere dell’installazione di panchine con braccioli che impediscono di distendervici sopra in uno slargo su via Giovanni da Procida, a poche centinaia di metri da casa mia, nel municipio di cui sono assessora ai servizi sociali. Si è trattato di una iniziativa di un comitato di inquilini, interessato a recuperare lo spazio pubblico adiacente alle proprie abitazioni, autorizzata dagli uffici municipali. Non ne ha discusso la giunta e dunque non ho avuto occasione di esprimere in quella sede la mia opinione. Provo, dunque, a farlo qui.
Questo municipio, come l’intera città di Roma, è abitato da molte persone che vivono in strada, trovando rifugio e riposo, per la notte e per il giorno, in spazi pubblici. La cosa può non farci piacere, come certamente non fa piacere a molte e molti di loro. Servirebbero diverse politiche di welfare e molti più luoghi di ospitalità e accoglienza per le persone senza fissa dimora, tutte cose che esulano dalle competenze di un municipio della Capitale così come dalle capacità delle cittadine e dei cittadini che ne vivono il disagio. Proprio ieri L’avvenire denunciava che a Roma vivono per strada 3000 senza tetto, a fronte di 40 posti al momento messi in campo dal Comune per il piano freddo.
Sono cifre che ahimè conosciamo e di cui come Municipio cerchiamo di farci carico, così come conosciamo le denunce di cittadini o comitati per le condizioni in cui versano alcuni luoghi della nostra città. Ogni volta abbiamo cercato di rendere più vivibili gli spazi con le poche risorse che abbiamo a disposizione, con un grande impegno quotidiano dell’assessorato all’ambiente. Nello stesso tempo come sociale concertiamo con il volontariato, la sala operativa sociale, il nostro servizio, gli interventi sulle persone fragili.
Nel nostro territorio insistono strutture di grande qualità, come l’Esercito della salvezza, che sono una grande risorsa e tanti sono i volontari, soprattutto ragazze e ragazzi, che sostengono le persone in difficoltà, aiutando anche i nostri servizi.
E noi cerchiamo di lavorare insieme a loro. Abbiamo da poco reinsediato al Consulta del volontariato, che nei prossimi giorni riuniremo proprio per discutere del piano freddo.
Abbiamo incontrato più volte le associazioni che offrono ristoro e pasti a stazione Tiburtina, e stiamo lavorando al progetto di infopoint per migranti e nello stesso tempo a uno spazio più adeguato per la somministrazione del cibo.
Con i volontari di Sant’egidio abbiamo un tavolo di lavoro su largo Passamonti, nel quartiere San Lorenzo.
Siamo intervenuti con le diverse istituzioni per verificare le condizioni dell’occupazione di viale del policlinico, per aiutare il censimento dei residenti, far intervenire il servizio sociale e offrire anche i nuovi strumenti, come il REI.
Nel Piano sociale municipale abbiamo dedicato più di una progettualità agli adulti in difficoltà e ai senza fissa dimora. In particolare stiamo lavorando ad un centro diurno per i senza fissa dimora, che nei prossimi mesi metteremo a bando.
E’ un lavoro di squadra, di giunta, maggioranza, costruito insieme alla commissione politiche sociali, alla Presidente Caterina Boca. Un lavoro difficile e che spesso richiede tempi lunghi e pazienza.
Di questa idea di città partecipata fa parte anche accogliere la richieste di quei cittadini che voglio adottare un’area pubblica. Va chiarito e concertato insieme quali interventi migliorano la vivibilità degli spazi. Cercare di cacciare le persone che vivono in strada fuori dal proprio caseggiato, dal proprio quartiere o dalla propria città, non solo è velleitario quanto nascondere la polvere sotto il tappeto di casa, ma finisce per limitare le libertà di tutte e di tutti, oggi impedendo a chiunque di stendersi su una panchina per riposarsi e guardare il cielo o la faccia del proprio fidanzato sulle cui gambe si sia poggiata la testa in un gesto amorevole, domani trasformando le città in meri luoghi di transito, senza spazi di convivenza che non siano esercizi commerciali con i loro orari, le loro regole e i loro prezzi. Non è questa – ovviamente – una idea di convivenza su cui ricostruire il tessuto sociale e umano di un quartiere. Tutt’al più è l’idea di una coabitazione, per di più forzata, cui trovare riparo solo nel chiuso delle proprie case e delle proprie cose. Ma so che non è questa l’idea di città a cui lavora il Municipio II.

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