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Alle donne italiane serve cambiamento

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dal sito Partito Democratico

“Non dovevi fare un altro figlio, ora al lavoro ti faremo morire”, questa la denuncia di una giovane lavoratrice madre lombarda, diventata notizia nello stesso giorno in cui il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo, in audizione parlamentare sulla nota di aggiornamento del DEF, spiegava che in Italia ancora solo il 56,2% delle donne partecipa al mercato del lavoro e il tasso di occupazione non supera il 50%, uno dei valori tra i più bassi, insieme a quelli della Grecia, tra i Paesi dell’Unione Europea dove il tasso di attività è pari al 68,3% e quello di occupazione al 63,4%.

 

Per Istat le donne nel mercato del lavoro sono vulnerabili e ricattate

Il direttore dell’Istat lamenta l’assenza di un appropriato sistema di sostegno da parte dello Stato, utile a “conciliare” il ruolo di moglie e madre con quello di professionista, uno dei «maggiori fattori discriminanti, insieme alla Regione di residenza e al titolo di studio» e che rende le donne «tra le maggiori vulnerabilità presenti nel mercato del lavoro italiano». Vulnerabili e ricattate, come nel caso di Chiara, punita perché ha scelto di avere un secondo figlio.

Del resto tra le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio preferisce il part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione.

Il problema non è conciliare, ma condividere

Questo è lo scandalo italiano, paese dove è difficile essere donna. Perché il problema non è “conciliare”, come ancora afferma il direttore dell’Istat, ma sarebbe “condividere”, come lo stesso istituto ci spiega nell’indagine sull’uso del tempo. Il report sottolinea, in primo luogo, la marcata disuguaglianza di genere nella divisione del lavoro non retribuito che caratterizza l’Italia. L’ultima rilevazione sull’uso del tempo, del 2014, mette in evidenza, infatti, che le donne in media dedicano al lavoro non retribuito circa 5 ore al giorno mentre gli uomini solo poco più di 2 ore. Fa da contrappeso il basso numero medio di ore di lavoro retribuito quotidiano delle donne (circa 1 ora e 30) rispetto a quello degli uomini (circa 3 ore). Ciononostante, le donne in Italia, quando consideriamo sia il lavoro retribuito che quello non retribuito, lavorano in media più ore degli uomini. Nel 2014 le donne hanno lavorato oltre un’ora al giorno in più rispetto agli uomini: 6 ore e 20 minuti contro 5 ore e 11 minuti.

 

Italia e Romania prime in Europa per lavoro femminile non retribuito

Le italiane hanno il primato con le rumene, in Europa di tempo di lavoro non retribuito, a questo si aggiunge però che gli uomini italiani hanno il primato, con i greci, di poche quantità di ore di lavoro non retribuito. Dunque in Italia c’è la maggiore differenza tra uomini e donne nelle ore di tempo impiegate per lavoro domestico e di cura. L’altro scandalo italiano è la mancata condivisione. Del resto nessuna politica aiuta a farlo, a cominciare da quella sui congedi parentali, che sarebbe davvero una grande priorità da affrontare.

 

Permane in Italia un’organizzazione sociale e culturale che riproduce il modello del male breadwinner-female caregiver: mentre per gli uomini il 62,4 per cento del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6 per cento da quello non retribuito, la situazione è più che capovolta per le donne, che concentrano il 75 per cento del loro monte ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito.

 

Calo demografico e diseguaglianze di genere

In queste diseguaglianze di genere trova le sue ragioni anche il calo demografico. Come ci mostrano Letizia Mencarini e Daniele Vignoli, in Genitori cercasi (Bocconi editore, 2018) i tassi di fecondità sono “positivamente correlati allo sviluppo economico, al reddito, al livello di occupazione femminile e all’uguaglianza di genere”. La fecondità è più alta dove si vive meglio, in particolare dove vivono meglio le donne, dove per una donna maggiore è la possibilità di scegliere se e quando diventare madre.

 

Servono politiche che mettano in discussione la divisione sessuale del lavoro, la scarsa occupazione femminile, la “vulnerabilità” delle donne nel mercato del lavoro italiano

Le italiane hanno dunque bisogno di politiche a sostegno della loro autonomia e delle loro scelte riproduttive. Ben venga la discussione e la proposta dell’assegno unico per figlio. Soprattutto vanno semplificate e unificate le diverse forma di aiuto alla genitorialità. Il punto, però, è che questa deve accompagnarsi a politiche che mettano in discussione la divisione sessuale del lavoro, la scarsa occupazione femminile, la “vulnerabilità” delle donne nel mercato del lavoro italiano. Come segnalato a suo tempo dall’economiste di ingenere bisogna uscire dal labirinto di voucher e bonus bebe, ma in direzione di una prestazione che incentivi l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Altrimenti il rischio è quello di fotografare e cristallizzare l’ingiustizia dell’oggi, pur attenuata da un importante sostegno economico. Alle donne serve cambiamento, e serve anche all’Italia per rimettersi in cammino.

 

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