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Tre settimane di lockdown

piazza navona

Pubblicato su femministerie

Tre settimane di lockdown, anche se abbiamo capito che c’è voluto più tempo per avere a casa la maggioranza delle italiane degli italiani. Secondo lo studio di StatGroup19 mercoledì 11 ne sono rimasti a casa il 33%, mercoledì 18 il 56%, mercoledì 25 il 65% (“Un mese di covid-19 adesso si vede la luce, Avvenire 29 marzo 2020). Oltre alla chiusura delle attività non essenziali probabilmente la crescita è dovuta all’aumentare dello smart working.

Non tutti però possono farlo. Molti devono uscire per lavorare, garantire servizi essenziali, curare la popolazione ammalata, studiare il virus, alla ricerca della cura e del vaccino. In questa terribile contabilità dei morti e dei malati bisognerebbe saper riconoscere quanti hanno incontrato il virus per motivi di lavoro.

Tre settimane hanno cambiato le nostre vite e l’immagine del mondo. Il distanziamento sociale ha svuotato gli spazi comuni, trasferendo sulla rete gli incontri, le riunioni, la scuola, il lavoro. Le foto – di una bellezza struggente – delle città deserte immortalano l’assenza. E il pianeta sembra respirare, mentre noi ci ammaliamo. “Pensavamo di rimanere sani in un mondo malato”, le parole del papa rimarranno scolpite.

Il distanziamento sociale ci ha confinato nelle nostre case. L’offline è il nostro appartamento e le persone con cui conviviamo, quando ne abbiamo. Ho tante amiche single, ogni tanto le immagino nel loro spazio autonomo, come penso all’impegno di chi deve vedersela con figli ancora piccoli, a cui non è concessa nemmeno un’ora d’aria.

Il distanziamento sociale è un atto di solidarietà verso noi stessi e verso gli altri, ne ha scritto Caterina Botti, ma non cancella le disuguaglianze, tutt’altro. Ognuno è inchiodato alla sua condizione, di cui la propria casa è uno specchio. Lo spazio è socialmente determinato, così come lo è l’uso del tempo, ancora troppo diverso tra uomini e donne.

Ha già detto Giorgia Serughetti dell’affacciarsi del domestico nella casa diventata spazio aperto.  Potrebbe essere un’opportunità, lei dice, per una spallata critica all’ordine politico e sociale.

E’ una sfida, ma non può vivere solo nei comportamenti individuali, deve avere attenzione nelle politiche messe in campo nell’emergenza e oltre. Le conseguenze sulle donne della pandemia possono essere severe, come scrivono Andrea Coveri e Maria Grazia Montesano su Ingenere, o Federica Gentile su Ladynomics.

La case in tutto il mondo sono anche il luogo della violenza domestica. In Cina le attiviste hanno denunciato come nel mese di febbraio i casi siano triplicati. In Italia preoccupa un calo delle telefonate al numero nazionale anti violenza 1522.

Ci servono vigilanza, resilienza e iniziativa, Viviamo una crisi globale, questo accelera i cambiamenti, con conseguenze forse a lungo termine. Il ruolo dello stato nell’economia, l’importanza del sistema sanitario, la fiducia nelle competenze stanno tornando all’ordine del giorno. L’emergenza ha illuminato la sfera privata, questo può trasformarsi in sorveglianza totalitaria o in nuovi spazi di responsabilità e libertà nella pluralità delle famiglie.

Il cambiamento può prodursi per necessità, anche se il dibattito europeo ci dimostra che l’esito non è scontato. Il cambiamento può riguardare anche l’ordine patriarcale, ma anche qui l’esito non è scontato. E’ diventato chiaro che siamo tutte e tutti legati – non monadi autosufficienti. E’ diventata evidente l’importanza che hanno la cura per la vita e per il corpo, la rilevanza dei gesti quotidiani. Del resto lavarsi le mani è stata una rivoluzione. Facciamo in modo che rimanga viva la consapevolezza che ci è data oggi.

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