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Protagonisti di discontinuità

le agorà

Martedì 14 aprile sono intervenuta alla presentazione del manifesto de Le agorà. 

Qui il testo del mio intervento.

 

Ben venga questa occasione di confronto, abbiamo bisogno di ragionamenti lunghi che diano visione alle nostre politiche. Ringrazio Goffredo Bettini e voi tutti per l’invito.

Non si può non partire dalla Pandemia. La Pandemia ha “fatto emergere aspetti inquietanti della modernità”, ma ha anche rimesso al centro della politica l’essenziale: la cura della vita, delle vite, la vulnerabilità e l’interdipendenza. Nessuno si salva da solo, è una domanda di società e di politica.

Può questo diventare nuova consapevolezza? Significa fare dell’esperienza, di ciò che nel mondo milioni di persone hanno sperimentato nella loro quotidianità- quotidianità in cui la decisione politica è entrata prepotentemente –  memoria condivisa, e qui c’è una sfida alla democrazia come sistema dell’apprendimento.

Mai l’umanità̀ aveva fatto esperienza di una crisi sanitaria, economica e sociale di tale dimensione planetaria. Ma questo vuol dire anche dentro questa tragedia bisogna saper rinnovare la promessa di benessere sociale che rende viva e popolare la democrazia.

Tanto più in questi giorni in cui il Paese sembra diviso tra rabbia e depressione. In questa forbice deve esserci l’agire politico, istituzionale e nella società del nostro partito, che tiene insieme i diversi momenti, vaccini, aiuti, investimenti, riforme. Che offra una speranza e una strada verso riapertura, delle nostre case, delle attività, della socialità.

La pandemia cambia tutto perché travolge mondo di prima, può mettere in discussione l’antropologia individualista che ha dominato in questi decenni e ci ha portato fin qui, questo è il campo di una contesa con la destra.

Non a caso l’Europa cambia e oggi battaglia è affinché cambiamenti siano strutturali. Next Generation EU non una paretesi legata all’ emergenza, ma un nuovo modo di essere.

Voi scrivete: “In questi decenni sono state travolte tutte le forme: famiglia le piazze comunali, …” in questo mutamento c’erano domande di libertà a cui la rivoluzione neoliberale ha dato una risposta, nel proprio paradigma individualista.

Qui si mostra la debolezza dei riformismi che hanno dato vita a partito democratico a fare i conti con quella rivoluzione. Scrive in un interessante articolo Giovanni Moro : “alle origini del Pd c’è l’incontro tra due gruppi dirigenti, provenienti dai maggiori partiti della prima repubblica, che erano già allora esausti perché incarnavano visioni, culture e tecnologie messe in discussione dalle profonde trasformazioni della società italiana nei suoi rapporti con il sistema politico”. (“Le parole che cerco nel Pd” La repubblica, 24/3/2021)

Una difficoltà a capire dove nasce e si organizza la politica nei tempi nuovi.

Quella mancata apertura a nove inclusioni, che il testo cita in relazione al tornante 89-92.

Ma era una questione di inclusione, o non un radicale cambiamento di paradigma? Penso alla critica femminista dell’individualismo moderno. Cioè che l’agire libero debba essere sempre collocato in un contesto di relazioni dense. Un’idea nuova di soggettività che mette in tensione il rapporto tra uguaglianza e differenza, che declina in modo nuovo autonomia e legame, singolarità e relazione, corpo e soggetto.

Credo che qui sia sfida femminismo. E anche la necessità di rinnovare quelle culture. L’emergenza che stiamo vivendo ha riproposto l’efficacia interpretativa, la capacità di visione e anche l’urgenza dell’elaborazione femminista. Penso alla vitalità del pensiero femminista sulla vulnerabilità e la dipendenza, e sulla cura come nuovo paradigma per il rapporto degli esseri umani tra loro, con il pianeta, con le generazioni future.

Non per caso succede che di fronte alla torsione illiberale di tante democrazie, ai sovranismi, che hanno come primo obiettivo la messa in discussione dell’autonomia delle donne, il protagonismo delle donne ha acquistato ovunque nuova forza. Nel mondo la lotta per la giustizia ha sempre più spesso il volto di leader femminili, e la deriva autoritaria delle democrazie ha quello del mito degli uomini forti.

Abbiamo assistito negli ultimi anni a gigantesche manifestazioni di piazza, anche in Italia. Pensiamo ai giorni del 2019 quando a Verona si è tenuto il World Congress of Families, ovvero l’internazionale dell’integralismo e dell’omofobia, che riunisce i paladini dell’“ordine naturale” dei generi.

Dunque essere eredi di battaglie e di conquiste, ma il tempo attuale ci dice anche che bisogna essere protagonisti di discontinuità. E le difficoltà che il Pd ha avuto, penso a tre ministri uomini, alle sue leadership rappresentate solo con immagini maschili, sono un segno di debolezza nella capacità di saper incarnare queste domande di libertà e di giustizia. Un sintomo di autorefenzialità.

Rigenerare il PD nella società, affrontando la sua storica debolezza, un partito che non ha mai vinto le elezioni ma quasi sempre governato.

Ed è stato giusto farlo nel 2019, con una coalizione inedita, che ha aperto la strada, nel farsi concreto delle politiche e delle risposta da dare alla pandemia, della battaglia fatta in Europa per un cambio di politiche, ad un confronto con quello che avete definito populismo mite.

Un’eredità della segreteria Zingaretti che oggi consente di guardare a un nuovo centrosinistra, alla costruzione di un’alleanza che può essere vincente

Ma il Pd deve ricollocarsi nella società, farlo nella serietà del suo impegno nel governo Draghi per affrontare e sconfiggere la pandemia e determinare gli indirizzi della ripresa, di un paese più giusto, che affronti nodi strutturali, tra questi le disuguaglianze di genere, e ridefinire la sua identità.

Le agorà democratiche (quelle proposte da Letta) sono occasione di apertura e elaborazione. Ma devono inaugurare anche un nuovo modo di stare insieme, abbattendo le filiere di potere.

L’autonomia della Conferenza delle democratiche, di un luogo autonomo delle donne è un pezzo di questa riforma del partito, luogo di frontiera con la società, anche per noi democratiche è una sfida. Non già risolta, da fare.

Non c’è un “nostro” popolo da riconquistare, che ci ha abbandonato. E’ vero, ma forse ormai quel popolo non c’è più. Il Partito Democratico deve radicarsi nel popolo che c’è e offrirgli prospettive e risposte, a partire dalla grande questione del lavoro. Guardiamo alla società che è in movimento, alle nuove faglie da cui è attraversata, facciamo i conti con i cambiamenti demografici. Le diversità di pelle, di cultura, di genere e di generazione che lo attraversano. I nuovi lavori e le nuove forme di sfruttamento, le nuove forme di solidarietà e di cittadinanza attiva che lo attraversano.

Per questo credo che ius soli, voto ai sedicenni, legge sull’omotransfobia, a cui aggiungo la trasmissione del cognome materno, alludono a un’idea di popolo. Non sono lussi per tempi economicamente migliori, perché politiche del riconoscimento e battaglia per la giustizia sociale, diritti civili e diritti sociali sono fortemente intrecciati. Lo sono la pari dignità delle persone e delle identità e la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza e impediscono il pieno sviluppo della persona umana. E’ l’eredita dell’articolo 3 che mette insieme riconoscimento e giustizia sociale.

E poi la sfida del Next Generation Eu, la prova del riformismo, non solo una modernizzazione del paese. Riforma deve essere parola che torna a significare cambiamenti che sciolgono nodi della vita delle persone. Per noi vitali sono gli investimenti nelle infrastrutture sociali per far crescere l’occupazione femminile e fare della cura una questione al centro dell’organizzazione sociale, promuovere una nuova convivenza tra generi e generazioni.

Una donna ogni tre giorni viene uccisa da un uomo, una donna su quattro lascia il lavoro dopo il primo figlio, potrei continuare con i dati di un’organizzazione sociale ancora profondamente patriarcale e di una cultura diffusa che non sta stare al passo della libertà femminile.

Nessuna democrazia può rinnovarsi, nessuna sinistra ancor più, se non si rigenera a partire dalla cittadinanza delle donne, che tutto cambia.

 

14 aprile 2021

 

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