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Tull Quadze, il mio intervento

piazza 25 settembre

Eccoci, distanziate ma in presenza. Dopo mesi di riunioni da remoto, di riflessioni, appelli, assemblee, webinar

Eccoci insieme, con i nostri corpi in questa piazza. I nostri corpi, troppo spesso sotto attacco, chiedono libertà e autodeterminazione. Le donne, ovunque nel mondo, sono protagoniste del cambiamento e proprio per questo sotto attacco nei loro diritti e nella loro libertà.

E’ un’emozione vederli in questa piazza, in questa città, Roma femminista, che vogliamo sempre di più città del riconoscimento degli spazi delle donne, delle differenze.

Alle destre e agli autoritari, agli illiberali, ai fanatici, le donne fanno paura. Hanno paura della nostra libertà che chiede condivisione, inclusione, nuovi equilibri e convivenza tra i generi e le generazioni. Una nuova cura del mondo

Questa è la piazza della sorellanza. “Tutte le donne”.

Una piazza per le donne afghane, a sostegno del loro coraggio, della loro libertà. Le abbiamo ascoltate. Non permetteremo che si spengano i riflettori su quanto sta succedendo, non le lasceremo sole nella loro battaglia, lo faremo insieme alle Ong e alle tante persone che si sono da subito rese disponibili ad accogliere ed aiutare, con cui abbiamo promosso la rete donne per le donne. Saremo impegnate per l’accoglienza diffusa per supportare chi continua a operare in quel paese a sostegno della società civile e dei diritti umani.

Abbiamo capito tutti che non si esporta la democrazia con la guerra, ma fatemi dire qui che non si sconfigge il patriarcato con la guerra,

Siamo in piazza per prenderci cura di loro e di noi stesse, per una rivoluzione della cura, come dice il documento dell’Assemblea della magnolia.

Insieme, nelle differenze, abbiamo condiviso un percorso e una lettura dell’esperienza della pandemia, ci siamo cercate in quei giorni – che mostra la vulnerabilità delle vite, l’interdipendenza che ci lega e rende evidente la necessità di mettere al centro della politica le relazioni e gli investimenti nelle infrastrutture sociali per una nuova convivenza.

C‘è bisogno di più società, più politiche pubbliche.

Siamo qui per dire semplici verità, che esigono grandi cambiamenti.

La pandemia cambia tutto perché ha travolto il mondo di prima, nel farlo ha messo in discussione l’ideologia individualista che ha dominato in questi decenni e ci ha portato fin qui, e ha fatto precipitare disuguaglianze e fragilità dell’organizzazione del lavoro produttivo. Nel mondo le donne rischiano di pagare il prezzo più alto e questo è tanto più vero in un paese come il nostro dove i numeri sono feroci.

Lavora meno della metà delle donne, al sud una su tre, al nord tre su quattro. Le donne sono le più precarie. L’ispettorato del lavoro ci conferma anche quest’anno che nel 2020 delle 42000 dimissioni volontarie di genitori con figli piccoli dal lavoro il 77% sono donne. Per 3 donne su 4 il problema è la difficoltà di conciliare il lavoro con i figli.

Ma finché questo sarà pensato come un problema delle donne, di conciliazione, persino lo smart working ci è stato proposto come uno strumento per conciliare, e non come una grande ingiustizia che riguarda l’intera società, di condivisione, l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, la condivisione della genitorialità e del lavoro di cura, nulla cambierà.

Quello che è venuto allo scoperto è la fragilità di noi tutti e i limiti del nostro modello di sviluppo. Una crisi della cura, abbiamo detto.

Il lavoro delle donne muove il mondo, ma troppo spesso non viene riconosciuto. Perché gran parte di questo lavoro è gratuito, riguarda la cura e la riproduzione della vita e viene affidato alle donne come compito minore e socialmente poco rilevante. Un errore per noi tutti e una gabbia per tante donne.

Siamo il paese in cui il 71% degli uomini crede che un lavoro sia importante ma quello che le donne vogliono davvero è una casa e dei figli. Peccato che dopo il primo figlio perde il lavoro una donna su quattro. Peccato tanto cecità sul cambiamento avvenuto, sugli orizzonti i desideri, la realtà delle ragazze e delle donne reali.

E’ l’altra faccia della rivoluzione culturale necessaria. Conviviamo come se nulla fosse con i numeri dei femminicidi, immersi nella cultura patriarcale, predatoria. Non vogliamo leggi speciali, esigiamo cambiamento e vogliamo affermare la credibilità della parola delle donne.

Insieme, fuori e dentro le istituzioni, nella discussione sul piano nazionale di ripresa e resilienza, abbiamo imposto questi temi nell’agenda politica italiana. Sappiamo che nonostante il nostro impegno, frutto anche della relazione tra noi, quello che abbiamo ottenuto nel PNRR non è ancora sufficiente. Le cose ottenute però, a cominciare dalla clausola dell’occupazione delle donne e dei giovani, vanno monitorate, va fatto su tutto l’impatto di genere del PNRR.

La direzione della ripresa, della ricostruzione non è scontata. Per questo l’importanza della piattaforma che ci chiama qui oggi, , pubblico, ’ , ci vuole un grande Piano per l’occupazione femminile.

In questi giorni si parla di patto per il lavoro e la crescita. Non ci può essere patto senza donne, nessun patto è credibile se non mette al centro il protagonismo delle donne.

Nessun soggetto debole da includere, ma una visione dell’uscita dalla crisi con cui confrontarsi.

Noi vogliamo essere in prima fila affinché nella messa in opera del PNRR nelle politiche ordinarie e di bilancio queste proposte trovino compimento.

La sorellanza ci ha portato qui, insieme nelle differenze.

La sorellanza cambierà questo Paese, l’Europa il mondo.

 

 

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