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La Tobin Tax e l’Europa possibile

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da italia2013.org

Una delle cose importanti dette ieri sera su Rai3 dal Primo ministro Mario Monti riguarda la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie. Il governo Berlusconi era fermamente contrario ma ora il nuovo Presidente del consiglio, allievo dello stesso Tobin, ha cambiato la posizione del nostro Paese. Questo si somma all’insistenza francese per introdurre questa misura rapidamente mentre la Germania, che precedentemente insisteva che o la tassa veniva adottata da tutti e 27 i membri dell’UE oppure non si poteva fare, è ora più possibilista. Vediamo meglio di cosa si sta parlando e quali effetti potrebbe produrre.

1. Prima di tutto, che cos’è la TTF ovvero la Tassa sulle Transazioni Finanziarie? Fu elaborata per la prima volta nel 1972 dal Nobel James Tobin sviluppando un’idea di Keynes. L’idea era quella di introdurre un piccolo “granello di sabbia” nei meccanismi della crescente globalizzazione finanziaria: la produzione di denaro attraverso il denaro e lo spostamento degli investimenti dall’economia produttiva a quella di carta. Il riferimento al granello non era casuale: si trattava di tassare non il reddito derivante da questi investimenti (non c’è nulla di male nell’investimento, anzi l’Italia oggi ha un disperato bisogno di buoni investimenti) ma il passaggio di mano di questi titoli finanziari che oggi avviene sempre più frequentemente e sempre più a puro scopo speculativo. La produzione di denaro attraverso il denaro, appunto. L’importo della tassazione, poi, è così limitata da produrre degli effetti decisivi solo in caso ci siano molti passaggi di mano: in nessuna ipotesi si supera mai qualche punto decimale del valore del titolo. La cosiddetta Tobin Tax è in seguito diventata la bandiera dei movimenti altermondialisti, soprattutto a cavallo del millennio ed è oggi sostenuta in Italia e non solo dalla campagna 005 che calcola che un’imposta globale dello 0,05% produrrebbe un gettito di 665 miliardi di dollari l’anno. In Italia si calcola che il gettito per lo Stato potrebbe aggirarsi sui 10 miliardi di euro. Soldi che non verrebbero più racimolati spremendo la parte più povera della popolazione o tagliando servizi essenziali ma che anzi potrebbero essere investiti (investiti, questo è il termine giusto) per migliorare i nostri trasporti pubblici locali, abbandonare lo sviluppo insostenibile, garantire una vita dignitosa a chi non è autosufficiente. Con poco più di un decimo di quella cifra si potrebbero creare 5.000 (cinquemila) asili nido: chissà cosa ne pensano i “difensori della vita”.

2. Per contrastare o semplicemente per insabbiare quest’idea si sollevano di solito due obiezioni: che non funziona se non la si attua a livello globale e che avrebbe un effetto depressivo sull’economia. Affrontiamo la prima: come ha scritto su Sbilanciamoci Andrea Baranes, i francesi hanno già studiato e verificato la fattibilità della tassa anche solo nel loro Paese. Come spiega il New York Times, la commissione europea ha già fatto i calcoli prevedendo che il Regno Unito non aderirà alla Tassa sulle Transazioni Finanziarie: se applicato nell’Unione Europea, un prelievo dello 0,1% (il doppio di quanto chiesto dalla campagna italiana, che comunisti che ci sono nella Commissione!) produrrebbe un gettito di 74 miliardi di dollari, poco più di 50 miliardi di euro. Il sistema funzionerebbe anche senza la city di Londra perché colpirebbe anche le istituzioni dei Paesi del continente (per esempio le banche tedesche o olandesi) che hanno una sede in un Paese che non aderisce alla TTF.

Sempre il New York Times spiega che un altro progetto della commissione mira all’istituzione di una tassa sui proventi delle società (la corporate tax) unica per tutti i Paesi che aderiscono all’unione fiscale: il che ridurrebbe di molto l’attuale concorrenza al ribasso tra gli stati dell’UE per attirare con basse aliquote le grandi aziende ed eviterebbe l’uso delle filiali estere per ridurre gli importi versati al fisco.

3. La proposta della Commissione Europea (qui il materiale integrale) prevede di tassare anche i derivati nella misura dello 0,01%. Si tratta della tipologia di titoli finanziari che ha dato origine alla crisi del 2007-2008: un tipico esempio sono i quelli in cui vengono messi insieme mutui buoni e mutui spazzatura, provando a bilanciare il rischio di questi ultimi con la stabilità dei primi. Soprattutto, la proposta vede la TTF come una “risorsa propria” dell’UE: cioè non dipendente dai contributi dei singoli stati ma versata direttamente dalle istituzioni finanziarie all’Unione. Imposte proprie vuol dire un’Unione con un’autonoma capacità di spesa. Un’Europa quindi possibilmente più forte, non per questo certo più democratica.

4. Infine, l’ultima obiezione ha a che fare con i presunti effetti depressivi dell’introduzione della TTF. La Gran Bretagna indica gli stessi studi della Commissione che prevedono un calo del PIL di quasi il 2% in seguito all’introduzione della tassa. E’ un calcolo in realtà difficile e azzardato: siamo sicuri che una tassa così piccola scoraggerebbe l’afflusso di capitali verso il vecchio continente? O non ridurrebbe invece i movimenti speculativi riequilibrando il peso della tassazione rispetto agli investimenti produttivi? Ma soprattutto: mentre non conosciamo gli effetti di una tassa che fu testata solo per un breve periodo nella piccola Svezia, sappiamo gli effetti altamente depressivi delle politiche di austerità fiscale introdotte soprattutto nell’ultimo anno in diversi stati europei. Chi dice che non esiste una politica fiscale comune oggi dovrebbe confrontare le manovre approvate nel 2011 in Grecia, Portogallo, Irlanda, Gran Bretagna, Spagna e Italia solo per fare alcuni esempi. Gli elementi in comune sono tanti e gli studenti inglesi gravati da tasse universitarie altissime avrebbero tanto da dirsi con quelli italiani il cui sistema di borse di studio e alloggi si è visto ridurre del 90% i fondi. In generale, queste politiche hanno prodotto (o quantomeno accompagnato) il crollo dei consumi e l’aumento della disoccupazione, fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti.

Ci sono validi motivi per pensare che l’introduzione della TTF e della tassa comune sui proventi d’impresa siano due pezzi importanti non solo per la costruzione di un’Europa diversa ma anche per un’uscita dalla crisi economica molto più realistica di quella basata su tagli, facilità di licenziamenti e riduzione dei diritti. Sono elementi importanti anche del riequilibrio dei rapporti di forza tra luoghi della politica e luoghi della finanza. Vale forse la pena sperare che dai progetti si passi agli atti concreti.