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Alla ricerca della “vera” madre

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Pubblicato su femministerie

Nei prossimi giorni sarà discusso dalla Camera dei deputati un progetto di legge che amplia la possibilità per l’adottato, o il figlio che non sia stato riconosciuto alla nascita, di sapere delle proprie origini biologiche. Tale conoscenza non cambierà il rapporto giuridico e quindi patrimoniale con il genitore naturale. Su richiesta dell’adottato il tribunale dei minori dovrà verificare se ancora persiste la volontà della madre di mantenere l’anonimato. Il linguaggio giuridico parla in modo neutro dei genitori, ma la questione riguarda soprattutto le madri, donne che spesso hanno scelto di portare avanti la gravidanza confidando sulla garanzia della segretezza del parto. Fino ad oggi informazioni sui genitori naturali erano comunque garantite nel caso fossero indispensabili per la tutela della salute del figlio, ma il genitore rimaneva anonimo.
Nel tempo molte cose sono cambiate, anche in termini di diritti della persona, e ha acquisito rilevanza la conoscenza delle proprie origini biologiche. La proposta di legge in discussione va infatti incontro a una sentenza della corte costituzionale (n. 178/2013) che aveva ravveduto la parziale incostituzionalità del nostro ordinamento a causa dell’irreversibilità della scelta dell’anonimato e aveva indicato la necessità di trovare un maggiore equilibrio tra i due interessi in campo, diritto alla segretezza del parto e diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche, che troverebbe fondamento nell’articolo 2 della Costituzione, quello che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo.
Nella proposta di legge rimane comunque il limite invalicabile della dichiarazione della madre di non voler essere nominata, solo lei può decidere di revocare tale decisione. Tranne in caso di morte. Il progetto di legge fa infatti decadere il diritto all’anonimato quando riguarda una donna defunta, come se non fosse in gioco anche la memoria di quella persona e il venir meno della riservatezza non coinvolgesse chi con lei ha avuto relazioni parentali e affettive.
Le nuove norme, se approvate interverranno sul futuro, ma anche sul passato. Vladimiro Zagrebelsky, favorevole a riconoscere il diritto di risalire alle origini, pur nella necessaria mitezza di un diritto che interviene a bilanciare interessi complessi e relativi a sfera intime della vita delle persone, esprime dubbi sul fatto che la legge abbia valore retroattivo. A suo dire verrebbe meno il patto di segretezza che lo stato ha fatto a suo tempo con quelle donne.
Va detto che l’anonimato del parto è principio con cui si è inteso tutelare non solo la madre, ma il futuro figlio. E’ stato introdotto per limitare il ricorso all’interruzione della gravidanza, per garantire il parto in sicurezza per madre e figlio, evitare l’abbandono in luoghi insalubri e il rischio di morte del/della neonato/a.
Il progetto di legge, individua nel Tribunale dei minori il soggetto che può interpellare la madre, per verificare se conferma la scelta dell’anonimato, ma è molto vago su come questa richiesta debba essere fatta. Limitandosi a parlare di “modalità che assicurino la massima riservatezza”, avvalendosi “preferibilmente” del personale dei servizi sociali. Eppure la sentenza della Corte invitava a “cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo”. Stiamo parlando di una richiesta che quasi sicuramente interverrà a portare scompiglio o riaprire una ferita nella vita di queste anonime madri.
Questo progetto di legge interviene dunque su una questione rilevantissima che va oltre l’equilibrio dei due diritti e la falsa parità tra i due soggetti coinvolti. Sappiamo infatti che nella mediazione del mettere al mondo c’è una primazia delle madri, e infatti la legge non può intervenire senza l’accordo materno a rimettere in discussione la scelta dell’anonimato.
Ma c’è qualcosa che va oltre l’equilibrio raggiunto o non raggiunto nella proposta di legge, e che mi piacerebbe fosse oggetto di discussione politica e culturale. C’è un’idea di generazione nel principio del diritto all’identità, così come viene interpretato, che credo vada sottoposta a critica, prima di essere codificato in diritto umano irrinunciabile. In discussione è l’idea che l’identità sia soprattutto biologica. Non a caso Chiara Saraceno su La Repubblica del 19 marzo, preoccupata della direzione che potrebbe prendere un diritto a conoscere le proprie origini illimitato, ha proposto di pensare da subito a come normarlo, per esempio, nel caso di fecondazione eterologa. Le due situazioni sono profondamente diverse, nel secondo caso ciò che fa nascere la bambina o il bambino è il desiderio dei futuri genitori, chi mette al mondo è la futura madre. Ma l’accostamento, se sganciamo totalmente la questione dell’identità dalle relazioni di cura e dal desiderio di messa al mondo del figlio e ne facciamo un diritto dell’individuo giuridico astratto, è assolutamente plausibile. Ma questo eccesso di astrazione porta con sé anche un eccesso di biologizzazione dell’identità, che mette tra parentesi relazioni di cura e desiderio di maternità, finisce per produrre culturalmente mostruosità come il titolo della stampa del 12 maggio scorso, che salutava il progetto di legge con un titolo “Adozioni. Cadrà il tabù sul nome della vera madre” mettendo in discussione con quell’aggettivo migliaia di famiglie e di rapporti di genitorialità che hanno all’origine un’adozione.
Ci aspetta un futuro di dominio delle determinanti biologiche sulle relazioni affettive di cura? Siamo sicuri che sia questa l’identità che cerchiamo?