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Relazione coordinamento nazionale della Conferenza delle democratiche – 14 dicembre 2023

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Confesso un po’ di emozione.

Oggi siamo chiamate a licenziare il regolamento proposto dal gruppo regole, lo avete ricevuto ieri via mail, lo illustrerà Teresa Armato.

E dobbiamo eleggere il comitato nazionale di garanzia che seguirà il percorso di rinnovamento della Conferenza.

Oggi è l’ultima riunione di questo coordinamento, che si è insediato a giugno del 2020, introdotto dall’intervento mio e da quello di Titti Di Salvo.

Permettetemi di ringraziare tutte. Abbiamo riaperto un luogo e animato una battaglia politica, con successi e sconfitte.

Abbiamo promosso percorsi territoriali più o meno radicati, non ovunque, ma in tante e importanti realtà, da ultimo in Piemonte, con grande fatica, ma anche con grande creatività, penso ai gadget delle toscane, che abbiamo rivenduto un po’ ovunque, alla loro radio.

Quasi sempre con tanto lavoro volontario o militante, come si diceva una volta.

Lasciatemi ringraziare Marielisa Serone, per i nostri canali social e la nostra comunicazione, fino alle dirette streaming delle agorà nazionali che abbiamo promosso lo scorso anno.

Abbiamo attraversato due cambi di segretari e di governo e una cocente sconfitta politica.

Siamo arrivate qui condividendo la scelta di aprire una fase costituente anche per la Conferenza delle democratiche, dopo il congresso che per la prima volta ha portato alla guida del Pd una donna, una femminista.

La Conferenza da questo evento era di fatto messa in discussione, sia sulla necessità di un luogo autonomo, sull’utilità di questo, che sulle potenzialità, sull’ apertura verso l’esterno di questo luogo, sulla capacità di incidere nel partito.

Con il coordinamento del 3 luglio, occasione di incontro con la nuova segretaria abbiamo preso la decisione di rinnovare non semplicemente la Portavoce nazionale, ma di aprire il luogo ancor di più, di raccogliere la sfida che veniva dal congresso, dai nuovi ingressi, dal cambiamento in corso.

Non dunque un passaggio burocratico, che si sarebbe potuto svolgere nello stesso coordinamento, ma una riflessione sul senso del luogo, sul suo rilancio, sul partito che si vuole femminista ma non lo è, sull’apertura alla società, alle tante che non votano.

Con il coordinamento del 18 ottobre scorso abbiamo dato mandato al gruppo regole di lavorare a un regolamento per l’elezione della Portavoce e del nuovo coordinamento rendendo l’elezione delle delegate conseguente alla possibilità di diverse candidature a Portavoce.

Il regolamento è senza date, tranne quella sulle adesioni perché l’avevamo già decisa, ma ne discutiamo oggi e decidiamo anche su questo, che so che è un problema. Ho letto il documento proposto dalle delegate della Toscana, che interviene anche su questo.

Così come credo che il comitato di garanzia dovrà fare una verifica costante delle adesioni, da comunicare celermente ai territori.

Parte dunque davvero il percorso.

So che esiste un documento, una lettera aperta che condivido e assumerei come contributo al dibattito da fare.

Perché penso anche io che si tratti di rifondare e nello stesso tempo di non perdere il lavoro fatto.

Come diceva Troisi, ricominciamo da tre. Altrimenti rischiamo di non riconoscere che anche le crisi qualche volta sono il frutto di mutamenti prodotti anche da noi.

Avere una segretaria donna sicuramente è un’occasione unica e una sfida.

Intanto penso sia stato possibile anche grazie e a causa di un dibattito che noi avevamo aperto, sul partito di donne e uomini, sulla sconfitta elettorale, grazie al contributo dato al manifesto del nuovo Pd.

Avere una segretaria donna richiede al luogo autonomo un salto di qualità nell’essere laboratorio di pratiche, di radicamento, nella tessitura di reti sociali, nella produzione di politica femminista.

Avere una segretaria donna non basta a cambiare il Pd.

Rimangono intatte le questioni da noi poste anche in altre occasioni, penso al documento delle portavoci regionali, alla proposta di modifica dello statuto sui poteri della Conferenza, sulla necessità di consultazione su liste e altri passaggi cruciali. Modifica assunta dall’ultima assemblea nazionale del Pd prima del congresso, ma che va portata a compimento.

Rimangono aperte le tante questioni territoriali, il riconoscimento nelle segreterie, le posizioni apicali maschili, il funzionamento complessivo del partito, che fatica a riconoscere autorevolezza femminile quando c’è.

La leadership femminista si sostanzia nella relazione con le altre, che non è un pranzo di gala, ma è assunzione di un punto di vista collettivo. Non è semplice e non sempre è stato semplice anche tra noi.

Avanti tutte abbiamo detto nell’iniziativa promossa prima della manifestazione dell’11 novembre.

Qui c’è il discrimine vero con le donne di destra, che nessuna trasversalità può cancellare.

Perché un conto è puntare ad ottenere leggi e politiche utili senza piantare bandierine identitarie, sfidando le donne al governo sulle grandi priorità – penso alla violenza maschile contro le donne – altro ritenere che la comune appartenenza di genere sia già di per sé un’alleanza praticabile.

Abbiamo a che fare con la peggiore destra e con una leader donna che punta a smantellare non solo conquiste, ma il fatto stesso che lo siano; il senso di una storia politica, derubricata a rivendicazioni di quote di potere, comode e facili. Noi saremmo rappresentanti di un femminismo istituzionale da élite, mentre loro, che si fanno chiamare al maschile combattono davvero ad armi pari.

Qui c’è una sfida, un revisionismo da contrastare, recuperando il senso di una storia politica di battaglie. Non ci ha regalato niente nessuno. Come ci ricorda sempre il prezioso lavoro della Fondazione Iotti sulle leggi delle donne.

Che riguardano il mondo, perché la politica delle donne è la politica. E guarda al mondo, e dobbiamo di più chiedere pace per questo mondo.

Ma c’è anche la necessità di ri-radicare le nostre battaglie. Di quanto possiamo apparire anche noi élite, femminismo istituzionale autoreferenziale. Ceto politico femminile.

Che magari vuole insegnare il femminismo a generazioni che già stanno praticando forme e modi di un nuovo movimento di cura del pianeta e del mondo.

Avanti tutte, non ce ne facciamo nulla di una donna presidente del consiglio che non pensa ai diritti delle altre.

Come rendiamo credibile questa nostra convinzione?

Intanto dal Paese sale fortissima una richiesta di cambiamento.

Il 25 novembre non può essere archiviato come se nulla fosse. Questo è un compito che abbiamo subito, anche nella discussione dentro il Partito e in quella in Parlamento sulla legge di bilancio.

La marea fucsia è montata nei giorni precedenti, dopo il femminicidio di Giulia Cecchetin.

Venivamo da un’estate feroce, lo ricorderete. Avevamo presentato le nostre proposte a giugno, con la segretaria, Valeria Valente, Sara Ferrari, che è diventata la nostra capogruppo in Commissione femminicidio, sfidando il governo sulla legge sulle misure cautelari.

I modi della scomparsa di Giulia, l’attesa, e poi le parole della sorella Elena e del padre Gino. Queste hanno reso il loro dolore privato una questione politica, nel senso più nobile della parola, una questione che riguarda la convivenza, il mondo in comune.

Hanno reso la morta di Giulia una morte pubblica, non un fatto privato. Quante volte abbiamo detto togliamo i femminicidi dalla cronaca nera, quante volte abbiamo ricordato che violenza maschile è dato strutturale?

In questo caso è successo esattamente questo. “Figlio sano del patriarcato” significa questo e sposta il dibattito dalle norme penali alla cultura che produce la violenza.

Dalla ricerca di quel colpevole, alla messa in discussione del patriarcato.

Che è in crisi e penso proprio per questo sia così feroce.

Le ragazze e i ragazzi hanno iniziato a fare rumore, fino alla marea fucsia del 25 novembre.

Non era mai successo che la discussione collettiva, persino popolare, focalizzasse questo tema.

E lì si è visto, io credo, la differenza di avere una segretaria donna, perché l’interlocuzione anche con la presidente del consiglio, ma ancor prima la presa di posizione è stata sull’educazione, sulla cultura, sulla lotta al patriarcato, appunto.

In Senato siamo riusciti a far votare unitariamente un ordine del giorno sulla formazione degli operatori, e un altro sull’impegno del Parlamento a discutere una proposta di legge sull’ educazione all’affettività.

Adesso alla Camera iniziano le audizioni.

Per la prima volta la destra accetta la discussione su questo punto, abbiamo visto con quante difficoltà, penso alle parole di Sasso, al terribile progetto di Valditara, al tentativo di mettere una toppa con la chiamata di Paola Concia, senza saperla neppure difendere.

Qui sta a noi saper condurre la discussione, non mettere bandierine, ma tenere il punto su quello che certamente serve e su quali sono le esperte da coinvolgere, la formazione da fare. Andrà condivisa una discussione su questo tema, anche per dare una risposta alla domanda che viene da quelle piazze, che non può essere burocratica su quello che si può fare a scuola e neanche solo sulla scuola.

Anche perché quella era una piazza profondamente politica, fatta di uomini e donne, che dicevano basta e chiamavano tutti e tutte a una responsabilità nuova di fronte alle donne che muoiono per mano maschile.

Si è acceso un dibattito sul patriarcato, pieno anche di negazionisti, a cominciare da Amadori, il consulente di Valditara.

Ma credo si sia espressa una grande domanda di cambiamento. Come il finale del film di Paola Cortellesi, il cui successo non può non parlarci.

Siamo adeguate? Il Pd è adeguato?

Intanto la segretaria Elly Schlein è stata l’unica figura politica presente, oltra a tante di noi.

Ma poi ci vuole perseveranza, presenza, scelte, interlocuzioni con le reti di donne.

Bisogna davvero mettere al centro della proposta del Pd le donne e il cambiamento necessario a partire da loro.

Anche guardando all’Europa. Per me è tema dell’assemblea nazionale di sabato. Ma è tema del percorso della Conferenza.

Così come lo è dell’opposizione alla legge di bilancio, al premierato, all’autonomia differenziata.

Intanto su bilancio sapete hanno provato a presentarla come una manovra per donne e famiglie, ma sono stati solo annunci roboanti, nido gratis per il secondo figlio, decontribuzioni per le lavoratrici madri, a cui non corrispondono cifre reali. Misure spot che non intervengono a sostenere davvero le scelte di genitorialità e il lavoro delle donne. Anzi rischiano di acuire le disuguaglianze territoriali. Per non parlare degli interventi sulle pensioni, che restringono ulteriormente rispetto ad opzione donna la platea di chi potrà beneficiare della nuova misura, altro che riconoscimento del contributo dato dalle donne al Paese.

O meglio sarebbe dire dalle mamme. Perché le donne solo se tali sembrano degne di attenzione.

Soprattutto parliamo di un testo blindato, inemendabile per noi. Su cui la maggioranza, a cui hanno proibito la possibilità di fare emendamenti, sta introducendo di tutto, tramite quelli dei relatori.

Si è parlato dei famosi cento milioni per il Parlamento, che già oggi sono mangiati dagli emendamenti dei relatori, ma soprattutto non ci interessano mance.

Vedremo in questi giorni come lavorare su questo con le altre opposizioni.

Insomma, io credo che mai come in questo momento il percorso autonomo di rinnovamento della Conferenza debba guardare fuori, a chi non fa politica, a chi magari era in piazza ma non crede che questo abbia una relazione con la politica dei partiti. A chi pensa che la propria vita non abbia a che fare con la politica.

Lascio su questo la parola a Teresa Armato, che ringrazio ancora.