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Democratiche, nel Lazio riparte la Conferenza delle donne

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L’8 novembre u.s. si è tenuta nel Lazio l’assemblea delle delegate regionali della Conferenza delle democratiche . Qui la traccia della mia introduzione.

 

Siamo il paese che costringe Liliana Segre ad avere la scorta

Siamo il paese dove nella capitale una libreria può essere bruciata due volte fino a far recedere i suoi proprietari dall’idea di riaprirla

Siamo il paese dove nella capitale i luoghi delle donne sono sotto attacco

Siamo dentro una crisi profonda, sociale e politica.  Il percorso della Conferenza non avviene in un “altrove”.

Siamo forti di 1866 democratiche che hanno deciso di fare un percorso politico insieme nel Lazio, di dare vita a luogo autonomo delle donne all’interno del PD, aperto a tutte le elettrici. Tra queste anche tante non iscritte, nelle diverse province. Luogo scelto. Per le democratiche si tratta di un investimento sulla propria autonomia, la promozione di un luogo di confronto con l’associazionismo e le diverse reti di donne, una soggettività politica a 360 gradi, non il luogo di uno specifico parallelo all’organizzazione mista del partito.

Come lo costruiamo lo decideremo davvero nei prossimi mesi, un ordine del giorno rimanda la elezione della portavoce regionale, oggi siamo dentro percorso nazionale. Scontiamo i limiti di un regolamento troppo chiuso, ma ci siamo dette che è importante non rimandare una scelta, fatta dalla segreteria Zingaretti, sulla base della richiesta di tante iscritte, di reinsediare la Conferenza. La politica corre, abbiamo già perso molti passaggi: crisi del governo Conte, nascita del nuovo governo, discussione della manovra.

Anche noi dobbiamo rinnovarci nelle pratiche nel modo di stare insieme.

Allargare e cambiare sarà il compito del coordinamento nazionale che andiamo a comporre. Allargare, verso le realtà territoriali, verso ciò che è fuori il Pd, che sfugge alla logica delle sue componenti. Altrimenti abbiamo già perso. Non per annullare differenze, anzi per farle davvero contare.

Si fa presto a parlare di femminismo, e finalmente pare ci sia una corsa ad appropriarsi di questa parola un tempo negletta al dibattito pubblico. Questo rinnovato interesse ha radici nel riconoscimento dell’ingiustizia che segna la vita di tante donne, ma anche del protagonismo della differenza che sanno portare nella società e nella politica. Noi sappiamo che il femminismo, questa differenza, vive nell’autonomia e nella relazione tra le donne.

Abbiamo bisogno di segnare questa fase in cui siamo di nuovo al governo del Paese. Una scelta di responsabilità per isolare la destra, il suo tentativo autoritario e aprire una nuova stagione politica in Italia. Una scelta, sono parole del segretario, fatta per amore dell’Italia.

Sappiamo però che per sconfiggere l’ipotesi illiberale una chiara azione di governo riformista deve essere accompagnata da un nuovo radicamento sociale, una capacità di ascolto e di attenzione alla vita delle persone e ai loro bisogni.

Alcune cose sono già nella manovra, ma dobbiamo essere consapevoli che è una porta stretta da attraversare. E’ nata in condizioni molto difficili, con un paese in stagnazione e un enorme aumento dell’Iva da scongiurare. Eppure in cinque settimane riusciamo a scongiurare l’aumento dell’Iva, ad avviare il taglio delle tasse ai lavoratori, e a lanciare un grande piano di investimenti per l’ambiente e le infrastrutture sociali. Sappiamo comunicare ciò? O prevalgono all’interno della maggioranza interessi di bottega? C’è il rischio che si perda il senso di una manovra che nonostante le difficoltà di partenza indica una direzione di marcia.

Invece siamo al governo per far ripartire l’Italia e disinnescare una deriva autoritaria. L’azione del governo va accompagnata a quella di rinnovamento del Partito democratico, per ricollocarlo nella società. E’ un processo di rigenerazione di cui la conferenza delle democratiche deve saper essere un tassello importante, costruendo un luogo utile alle donne, con una vocazione popolare.

Siamo al governo in Italia e siamo al governo nel Lazio. Abbiamo come democratiche una responsabilità.

Dobbiamo sconfiggere nella società un clima tossico, una vera e propria guerriglia contro le donne, contro la nostra libertà. Siamo un Paese in cui diminuiscono gli omicidi, ma non i femminicidi. Mirjam Katzin, attivista femminista svedese, al festival di Internazionale: ha parlato di “malcontento reazionario maschile”, nel momento in cui perdono autorità e potere, e si ritrovano privi di un futuro e di un’identità definita, questi uomini si avvicinano al nazionalismo e al neoconservatorismo. Questo fenomeno non riguarda esclusivamente la classe povera. L’ingegnere che vive in una piccola città simpatizza solitamente con il partito nazionalista, e sposa una visione alquanto tradizionale della famiglia. Noi lo vediamo ogni giorno anche in Italia, lo abbiamo contrastato a Verona. Ci siamo opposte nei mesi scorsi alle controriforme sulla famiglia e sull’affido condiviso, ma un contrattacco ai nostri diritti è in atto nella società e spesso si fa forte del disagio sociale, dell’impoverimento, dell’assenza di lavoro femminile o della sua precarietà. Lo leggiamo nella cause di separazione, nel sempre più frequente ricorso alla inesistente alienazione parentale.

Dobbiamo aggredire lo scandalo italiano di un paese dove è difficile essere donna. Le donne sono cambiate. La rivoluzione del secolo scorso ha mutato la loro condizione, ma soprattutto le loro aspirazioni, il senso di sé. E una rivoluzione a cui non ha corrisposto una trasformazione del welfare, dell’organizzazione del lavoro, dei tempi, dei rapporti tra i generi nella condivisione dei compiti.  Permane in Italia un’organizzazione sociale e culturale che riproduce il modello del male breadwinner-female caregiver: mentre per gli uomini il 62,4 per cento del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6 per cento da quello non retribuito, la situazione è più che capovolta per le donne, che concentrano il 75 per cento del loro monte ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito. Del resto tra le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio preferisce il part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione. In Italia la differenza salariale tra donne e uomini nel settore privato è del 20,7%, è importante in questo senso il progetto di legge a prima firma Gribaudo, che impone report delle imprese anche sotto i cento dipendenti, pubblicità e trasparenza, più controlli e sanzioni, un “bollino” per le aziende virtuose.

E permangono diffidenze culturali nei confronti della libertà delle donne. Sono tutti a parole egualitari, ma il 51% degli italiani maschi, compresi tanti nostri leader, pensa che il ruolo più importante della donna sia quello di prendersi cura della casa e della famiglia (contro 11% degli svedesi). Il 79% pensa che sia più probabile che donna prenda decisione in base alle emozioni, il 37% che non abbiano qualità e competenze per ricoprire ruoli in politica, il 72% che se la madre ha un lavoro a tempo pieno la vita familiare ne soffre (vedi Mencarini)

In queste diseguaglianze di genere trova le sue ragioni anche il calo demografico. L’inverno demografico è la spia delle disuguaglianze di genere, delle disparità salariali, dell’assenza di un sistema di servizi adeguato. La fecondità è più alta dove si vive meglio, in particolare dove vivono meglio le donne, dove per una donna maggiore è la possibilità di scegliere se e quando diventare madre.

Ben venga la discussione e la proposta dell’assegno unico per figlio, la semplificazione e unificazione delle diverse forma di aiuto alla genitorialità. Da quest’anno intanto la manovra rafforza il bonus bebè e la carta bimbi, prorogata di un anno, porta il congedo parentale a 7 giorni, prevede fondo per gli asili nido, e l’azzeramento della retta.

Poi 2021 assegno unico. La proposta è quella di 240 euro al mese per i figli a carico fino a 18 anni e 80 euro per i figli fino a 26 anni, per tutti i tipi di lavoro e per tutte le fasce di reddito, da zero fino a 100 mila euro all’anno, in misura decrescente al crescere del reddito. I 100mila euro non sono di reddito lordo familiare, ma di reddito lordo per chi, fra i due genitori, ha il reddito più alto, per non disincentivare il lavoro delle donne.

Il punto, però, è che questa deve accompagnarsi a politiche che mettano in discussione la divisione sessuale del lavoro, la scarsa occupazione femminile, la “vulnerabilità” delle donne nel mercato del lavoro italiano.

Anche queste sono le discontinuità necessarie. Con 63 punti su cento il Gender equality index appena diffuso dall’Istituto europeo per la parità di genere (Eige) colloca l’Italia al quattordicesimo posto tra i 29 paesi Ue. Fatta eccezione per la sanità dove l’Italia raggiunge il punteggio più alto. Le disuguaglianze di genere, spiega Eige, sono più accentuate nei luoghi di potere (47,6 punti), nella divisione del tempo (59,3 punti) e sul lavoro (63,1 punti) dove l’Italia ha il punteggio più basso tra i paesi Ue.

Potere, tempo, lavoro. Ecco i tre nodi da aggredire. Dobbiamo essere ambiziose e determinate. Agire sulle diseguaglianze significa anche incentivare una piena condivisione dei carichi di cura tra donne e uomini. Il congedo di paternità obbligatorio esteso a 7 giorni, come viene ora proposto, è certo un passo avanti rispetto ai precedenti 5, e segnala un adeguamento alla recente direttiva del Parlamento Europeo sul work-life balance. Ma l’Italia resta tra i paesi europei con il congedo più breve. La direttiva prevede anche due mesi di congedo parentale (facoltativo) non trasferibile e retribuito per il padre o il secondo genitore: una misura che ci sembrerebbe importante includere da subito in un pacchetto di misure per la distribuzione più equilibrata delle responsabilità.

Siamo al governo nella Regione Lazio. C’è un importante contributo delle consigliere regionali, un documento che fa il punto sulle leggi da loro proposte, sull’azione di governo.

Proponiamo che il percorso regionale che porterà all’elezione della Portavoce regionale sia animato da gruppi di lavoro per costruire la piattaforma politica delle democratiche del lazio, oggi già potete iscrivervi, ma manderemo una mail a tutte aderenti.

Cinque gruppi:

  1. sviluppo, lavoro, condivisione tempi
  2. salute e benessere
  3. prevenzione e contrasto violenza di genere
  4. cultura, conoscenza, lotta agli stereotipi
  5. regole e partito

 

Dobbiamo dare più forza politica al protagonismo delle donne, ricostruire una genealogia politica delle democratiche e mantenere aperto un conflitto sulla partecipazione e sul potere, nella società ma anche nel PD.

Dobbiamo costruire un luogo utile alle donne fuori da qui, native e migranti, guardando alle più giovani.

Nel mondo abbiamo visto protagoniste donne di età diverse interpretare le grandi questioni sociali e ambientali e l’opposizione ai leader illiberali. La nostra politica, soprattutto in Italia, fatica ad intercettarle.

Non è vero che le donne sono conquistate dalla destra, sono disinteressate a questa politica.

Alle elezioni politiche del marzo scorso, l’affluenza maschile si era assestata intorno al 76% mentre quella dell’elettorato femminile si era fermata al 70,7%. In maniera simile, per la tornata europea del 26 maggio la partecipazione maschile ha superato nuovamente quella femminile assestandosi al 58% contro il 54,3% di affluenza per le donne. Se è vero che il gap sembra ridursi rispetto all’anno passato, bisogna anche considerare che la partecipazione è, in generale, più bassa. C’è una capacità dei movimenti populisti di destra di attrarre l’elettorato femminile su posizioni nazionaliste e securitarie? Parzialmente. La Lega è il primo partito anche tra le donne con il 31,3%. Ciononostante, il distacco dal dato maschile è abbastanza evidente, con circa 6 punti di differenza tra uomini e donne. Il voto delle donne sembra quindi essere più favorevole, rispetto a quello degli uomini, al PD e in generale alle forze di sinistra. Pd 22,7, tra le donne 23,8, tra gli uomini 21,5. Nella lega scarto di sei punti donne e uomini, 31,3 e 37,4

Le donne risultano quasi sempre spostate “a sinistra”: più cosmopolite, chiaramente più aperte su ambiente e diritti civili, leggermente più favorevoli all’intervento dello stato in economia. (vedi Matteo Cavallaro)

Costruire Conferenza democratiche non è fatto meramente organizzativo, come sempre. A Bologna il 15, 16, 17 novembre prossimo il PD discuterà degli anni 20 del nuovo secolo, delle sfide del futuro, aprendosi a intellettuali, movimenti, forze sociali, per immaginare un’altra storia. Aprirà proprio con una sessione sulla libertà delle donne.

Dobbiamo essere protagoniste di questa rigenerazione; dando forza politica al protagonismo delle donne nella società e nel campo del centrosinistra, costruendo insieme una piattaforma politica di cambiamento.

 

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