Scroll Top

Il congresso del Pd e la società in movimento

piazzagrande

La cronaca politica di questi giorni ci racconta il dibattito congressuale del Partito Democratico come una soap opera tutta maschile. Non ho mai pensato che la storia dei partiti potesse ridursi a quella dei suoi gruppi dirigenti, ma è indubbio che l’accentuarsi della personalizzazione e il meccanismo delle primarie per l’elezione della/del segretaria/o aiuta questa rappresentazione semplificata.  Del resto era anche stato detto, qualche primaria fa, che i partiti sono “contendibili”, come se si trattasse di occupare una postazione, e non di dirigere un corpo vivo, fatto di uomini e donne, legati, pur nelle differenze, dalla condivisione di un progetto, un’idea di società, un orizzonte politico e culturale.

Ma così è; e ci tocca leggere di ritiri, accorpamenti di candidature, possibili scissioni, mentre il cuore di quello che dovrebbe essere il confronto rimane sullo sfondo. Elle Kappa profetizza “forse Di Maio e Salvini governeranno per altri venti anni”, le donne di Towanda minacciano di non partecipare a un congresso così avvitato su se stesso, o meglio sull’orizzonte limitato di uomini che non riescono a guardare oltre il proprio ombelico, o un po’ più giù.

Tocca alzare lo sguardo e ritornare nel mondo e nel paese, che sta cambiando in fretta. I processi politici e i mutamenti sembrano essere più veloci dei tempi interni del partito. Il Pd terrà il suo congresso a quasi un anno dalla sconfitta alle elezioni politiche e a soli due mesi dalle elezioni europee più rilevanti degli ultimi anni, forse per la prima volta un vero test politico sull’Europa.

Il Censis ci racconta la “società italiana al 2018” come in preda a “una sorta di sovranismo psichico prima ancora che politico”, che “talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria – dopo e oltre il rancore ‒ diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare”. Sempre secondo il Censis “nella Ue, l’Italia è il Paese dove si registra la quota minore (23%) di cittadini convinti di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei genitori (la media Ue è il 30%, il 43% in Danimarca, il 41% in Svezia, il 33% in Germania). Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita”.

Siamo il Paese in cui è a rischio povertà più di 1 italiano su 4, povertà concentrata fortemente tra i minori e le famiglie con minori. I più benestanti hanno un reddito superiore di 5,9 volte quello dei più poveri. Siamo lo Stato dell’Unione europea con il tasso più basso di occupazione femminile (48,9% nel 2017) dopo la Grecia (44,4%). Quello in cui la differenza fra i tassi di occupazione maschile e femminile, cioè quello che si definisce “gender gap”, è di circa 20 punti percentuali in media. Un’italiana dedica circa 3 ore in più di un italiano alle attività domestiche e di cura dei familiari, oltre 4 ore nelle coppie con figli. Un Paese che costringe molte madri a rinunciare all’impiego perché inconciliabile con le esigenze familiari. Un Paese che costringe i giovani, sempre meno rilevanti demograficamente, a cercare lavoro, casa, autonomia, realizzazione altrove. Quelli che non hanno perso la speranza e non sono già andati ad ingrossare le fila dei NEET.

Un paese ingiusto, sempre più anziano, attraversato da grandi diseguaglianze. Questo nonostante alcune riforme fatte dai governi a guida Pd, un primo avvio di politiche per il contrasto della povertà, una timida ripresa già bruciata.

Se il Pd avesse davvero discusso della sconfitta del 4 marzo avrebbe dovuto parlare di questo. Di cosa ha reso possibile il contratto di governo tra due forze così diverse, ma che trovano un punto di incontro, prima ancora che nelle singole proposte di quel testo, nella pratica autoritaria che anima la loro forma politica, nella semplificazione delle relazioni istituzionali, nell’insofferenza per i corpi intermedi. Il tratto egemonico di questo governo giallo verde è dato dalla Lega di Salvini, rappresentante in Italia del pensiero illiberale che trova sempre più consenso nel mondo, frutto e al tempo stesso attore della crisi democratica, radicata nella crisi sociale, nell’impoverimento, nel sentimento di incertezza. Dovremmo aver imparato dal secondo dopoguerra e dal sogno di un’Europa federata e democratica che la democrazia si nutre della promessa di benessere sociale.

Mi sono iscritta al Partito Democratico qualche mese fa. L’ho fatto perché preoccupata da quello che sta succedendo in Italia. Il Pd, pur nella sua crisi, mi appare l’unica possibilità, da cui ripartire per riaggregare un campo di forze democratiche. Il Pd da solo non basta, ma il Pd è indispensabile. Mi sono detta che non potevo continuare a considerarlo un argine e non entrare per contribuire, nel mio piccolo, a rafforzare questo argine.

Ma il Pd può fare questo se va oltre di sè. E questa tensione e determinazione l’ho vista nella proposta di Nicola Zingaretti di costruire un appuntamenti aperto, Piazza Grande, ad ottobre, alla cui realizzazione ho collaborato, prima tappa di un percorso politico di rigenerazione della sinistra italiana. Non la corrente di uno dei canditati alla segreteria del Pd, ma un luogo vivo di incontro, proposta e battaglia politica.

Nicola Zingaretti dice che bisogna cambiare, non per tornare a come eravamo. Massimo Cacciari nella lectio magistralis tenuta ieri a Roma Tre sull’Europa ha sostenuto che quando il mondo è attraversato da una rivoluzione bisogna essere rivoluzionari.

Bene, archiviamo dunque il tema del “nostro” popolo che ci ha abbandonato, che è vero, ma forse ormai quel popolo non c’è più. Guardiamo alla società che è in movimento, alle nuove faglie da cui è attraversata. Come suggeriva Ida Dominijanni dopo le elezioni americane di midterm – segnate nel campo del Partito democratico americano da una grande vittoria di candidature giovani, femminili, “intersezionali”- facciamo i conti “con i cambiamenti demografici da cui il popolo è continuamente ridisegnato e con le scintillanti diversità di pelle, di cultura, di genere e di generazione che lo attraversano”.

Nel mondo c’è un nuovo femminismo, un nuovo attivismo delle donne, forse l’unico soggetto che in alcuni paesi sta animando l’opposizione ai sovranismi, i quali hanno ovunque, anche e soprattutto in Italia, un segno machista e patriarcale. Il loro primo obiettivo è rimettere in discussione l’autonomia delle scelte procreative delle donne, negli Usa, in Ungheria, in Polonia. Dal #metoo alle grandi manifestazioni di Non Una Di meno, nuove generazioni di donne rivendicano invece autodeterminazione e libertà dalla violenza.

Il Pd si vuole lasciare scuotere da questi movimenti, che mettono in discussione un assetto di potere radicato nel nostro Paese, anche nella politica? Più che l’assenza di una candidatura femminile in grado di competere realmente, il problema mi sembra questo, di cui l’altro piuttosto è un effetto.

Come ci racconta Letizia Mencarini sul numero de Il Mulino, dedicato alla questione demografica, sono tutti a parole egualitari, ma il 51% degli italiani maschi, compresi tanti nostri leader, pensa che il ruolo più importante della donna sia quello di prendersi cura della casa e della famiglia (contro 11% degli svedesi). Il 79% pensa che sia più probabile che donna prenda decisione in base alle emozioni, il 37% che non abbiano qualità e competenze per ricoprire ruoli in politica, il 72% che se la madre ha un lavoro a tempo pieno la vita familiare ne soffre.

E’ vero questo governo è nocivo; produce emergenza e impoverimento. Oggi Nicola Zingaretti sul sole24ore fa proposte che condivido su come cambiare rotta e investire sui Comuni e sulle opere pubbliche. Nel frattempo nel paese però arriva la propaganda, Salvini sollecita il rancore popolare e gli istinti peggiori.

L’opposizione non può accontentarsi di un tweet pieno di disprezzo o della sottolineature con la matita rossa e blu dei loro errori. Bisogna farsi attraversare dalla società. C’è chi reagisce; dagli studenti, all’associazionismo sociale, dai tutori dei minori non accompagnati, al mondo cattolico e ai comuni impegnati sull’accoglienza, alle donne e uomini preoccupati dal disegno di legge Pillon.

Il congresso Pd non si fa in un mondo a parte. Per questo ho aderito a Piazza Grande e alla proposta di Nicola Zingaretti. Il congresso del Pd ha bisogno di energie, competenze, persone e collettivi che ricominciano a parlarsi e dare battaglia, in Italia e in Europa.

Post Correlati

% Commenti (2)

[…] Cecilia D’Elia, “Il congresso del Pd e la società in movimento”, Il blog di Cecil… […]

[…] Cecilia D’Elia, “Il congresso del Pd e la società in movimento”, Il blog di Cecil… […]

I Commenti sono chiusi.