Pubblicato su femministerie
21 marzo. E’ la giornata mondiale della poesia. In questi giorni casalinghi ogni tanto riprendo vecchi libri, rileggo dediche, scopro regali che non ho mai letto.
Oggi sono tornata ad un testo che per lungo tempo è stato sul mio comodino di liceale, comprato quando avevo quattordici anni: La poesia femminista, a cura di Nadia Fusini e Mariella Gramaglia, edizioni Savelli. Ho la ristampa del 1977, ma il dialogo tra le due curatrici è datato luglio-settembre 1974.
Per via di mio zio Vito Riviello la poesia da noi era di casa. Linguaggio familiare, ma mai oggetto di particolari studi da parte mia. Parlo da lettrice, non da esperta.
Qui però c’erano le donne, quelle del movimento. E io già mi sentivo una di loro. Lo so e lo riscopro, perché ho messo una ics vicino ai versi del primo lungo testo – “Quelle del movimento di liberazione della donna – che a mio parere avrebbero potuto etichettare anche me. E’ una lunghissima poesia, liberamente tradotta dalla francese “Les celles du mouvement de libération des femmes”:
le fottute
le fottute male
le fottute bene
le donne da letto
le clitoridee
le vaginali
le frigide
le lente a godere
le bocchinare
il sesso
il sesso debole
le pollastrelle
le cocottes
le ciccione
le culone
le oche
le chiocce
le cavallone
le donne-bambina
le donne-donna
le balie
le pigolanti
le ansimanti
e via così per altre cinque pagine.
Dunque qui c’erano le donne “donne vere, che non hanno più paura, che si ascoltano e si raccontano con coraggio” (Nadia Fusini). E la poesia è un gesto politico. Ci sono testi di Alta, Margaret Atwood, Denis Levertov, Silvia Plath, Adrienne Rich, Anne Sexton, Astra, per citarne alcune.
“Queste voci femministe sono l’espressione di un bisogno nuovo, di far vivere la donna nella sua interezza; e proprio perché il femminismo è un movimento culturale oltre che politico, o semplicemente è un movimento politico in senso integrale, la poesia ne è espressione “naturale” perché fonde il momento esistenziale-affettivo-emozionale, con tutte le sue sfumature e la sua contraddittorietà” (Mariella Gramaglia, corsivo mio)
“In queste poesie c’è soprattutto un discorso: lo smascheramento. Se la poesia della donna è narcisistica per necessità, che altro mondo non le è stato dato che l’interiorità, è anche vero che attraverso questa interiorità la donna ricostruisce un discorso politico: perché l’interiorità della donna è segnata in radice dallo squilibrio e dall’oppressione” (Nadia Fusini)
Smascheramento e ricostruzione di un’identità fuori dai codici noti. La ricerca di autonomia è quello che vive in questi versi. E quella ricerca arriva fino a noi, che abbiamo conquistato il plurale donne e riconosciuto le nostre singolarità. Noi, che nonostante l’emergenza che ci costringe ognuna nella sua abitazione non siamo più separate e disperse nelle case degli uomini. E che ci impegniamo perché per tutte la casa non sia più luogo di costrizione.
Del matrimonio
Non chiudermi in un contratto, voglio
il matrimonio, un
incontro –
ti ho detto
della luce verde
di Maggio
(un velo di silenzio caduto
nel parco,
un tardo
pomeriggio di
sabato, ombre
lunghe e aria
fredda, odore
d’erba nuova.
di foglie fresche,
fiori che matureranno
in frutti –
degli uccelli che vi incontrai,
in sosta prima di riprendere il viaggio
tre uccelli di diversa specie:
quello col petto azalea e la testa rotonda, scura,
quello a macchie, allegro, ratto strisciante
e il più piccolo, dorata ginestra, sul volto
una mascherina nera
insieme a loro tre dolci femmine
dalle piume tenere, marrone intenso –
mi fermai
mezz’ora incantata,
nessuno passò
gli uccelli mi videro
e lasciarono che stessi
con loro)
Non è
irrilevante:
vorrei essere
incontrata
e incontrarti
così,
in uno spazio
verde e arioso, non
chiusa in gabbia.
(Denise Levertov, 1962)