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Un anno della Conferenza delle democratiche

coordinamento 23 giugno

La mia relazione al coordinamento della Conferenza delle democratiche del 23 giugno:

Quasi un anno fa abbiamo ricostruito il luogo autonomo delle donne, di frontiera, come ci siamo dette più volte, aperto alle non iscritte.

Donne che scelgono la relazione con altre donne, segretarie di federazione (ahimè ne abbiamo ancora poche) parlamentari, donne del governo, dirigenti locali, aderenti che investono su relazione politica con le altre per dare forza a un punto di vista plurale -perché siamo diverse – ma di donne sul mondo.

La scommessa era ricostruire un “noi” delle democratiche, un percorso di radicamento e rinnovamento della Conferenza nei territori, compatibilmente alla situazione pandemica, e alla situazione del partito in tanti territori.

Abbiamo praticato quello che si poteva online e distanziate, in Toscana è nata anche webradio, dopo Abruzzo e Toscana, la Lombardia e il Veneto in questo fine settimana eleggeranno la Portavoce regionale e nel secondo punto all’ordine del giorno oggi discuteremo la tempistica delle altre regioni.

Un “noi” che vorremmo fosse attraversato di più dalle giovani, con Gaia Romani abbiamo iniziato a lavorare per iniziare un percorso più inclusivo e autonomo.

Un noi che si fa forte dell’attività della parlamentari, oggi impegnate in Aula ma con cui abbiamo costruito una modalità di lavoro, oggi rafforzata dall’avere due capogruppo donne.

E poi un “noi” che deve darsi nuove regole, con il Gruppo di lavoro su regolamento nazionale, coordinato da Teresa Armato, di cui riprenderemo le riunione in presenza per sciogliere nodi che riguardano essere luogo autonomo ma non separato, con proiezione esterna, per cambiare PD.

Enrico Letta all’assemblea nazionale di presentazione della sua segreteria ha detto non avete bisogno di un nuovo segretario, ma di un nuovo PD.

Noi ci siamo. In qualche modo siamo già pensate come un agorà, almeno come vocazione, non sempre riusciamo ad esserlo. La missione che ci siamo date è di apertura e cambiamento.

Il PD è una forza essenziale della democrazia italiana, le primarie di domenica scorsa ne sono una prova, ma conosciamo anche i nostri limiti: resistenze, maschilismo, correntismo esasperato, notabilato locale.

Dunque il tema è la democrazia paritaria, partito di donne e uomini, cambio di passo. Abbiamo un ordine del giorno approvato nell’ultima assemblea nazionale sul partito paritario.

Ma l’allarme rosso sulle donne, per riprendere sempre le parole di Enrico Letta, è un tema del Paese. Non solo delle donne. Per affrontarlo penso vada rovesciata la prospettiva, bisogna guardare alle donne non come alle “escluse” ma come soggetto, protagoniste di cambiamenti culturali e portatrici di punti di vista. Quindi quello che poniamo non è tanto una questione di inclusione, quanto di trasformazioni e di discontinuità da produrre.

Oggi PD ha due presidenti dei gruppi, una vicesegretaria. Il “biglietto da visita” è mutato. Non si tratta solo di un cambio d’immagine. Ma oltre questo, bisogna investire sull’ autonomia delle donne, sulla soggettività.

Dobbiamo passare da “serve una donna” a “quella donna perché propone questo” e soprattutto capire perché non c’è, quando non c’è, nessuna donna che si propone o che viene candidata, domandarci come selezioniamo i gruppi dirigenti.

Per noi in gioco c’è il nostro desiderio di libertà, di cambiamento.

Ma è molto faticosa questa costruzione del “noi” in un contesto in cui tendono a prevalere personalismi o l’idea che la democrazia sia essenzialmente competizione per la leadership. Credo vada rimessa al centro la partecipazione – e anche qui la sintonia con le agorà – e la condivisione. Abbiamo praticato ciò nella tempesta della pandemia, un trauma collettivo e planetario.

Nulla sarà più come prima, abbiamo detto. La pandemia cambia tutto perché ha travolto il mondo di prima, nel farlo ha messo in discussione l’antropologia individualista che ha dominato in questi decenni e ci ha portato fin qui. Questo è il campo di una contesa con la destra.

Ahimè una donna, la prima alla guida di una della grandi economie mondiali disse la società non esiste.  Abbiamo visto invece quanto sia falso, lo abbiamo sperimentato nella nostre vite: l’interdipendenza- l’impossibilità di separare il benessere degli uni da quello degli altri. La contagiosità del virus ha messo a nudo l’intensità delle relazioni che, volenti o nolenti, legano ciascuno/a di noi alle altre persone.

Questo è pensiero femminista, il soggetto in una trama relazionale.

Ma la pandemia ha mostrato anche la debolezza della società e sottoposto a stress le democrazie. E’ stata una prova per la politica. Come PD abbiamo preso sul serio la tutela della salute come bene comune, il distanziamento e il rigore che doveva tenersi nei comportamenti collettivi, e contemporaneamente i sostegni per affrontare la crisi.

Credo che come democratici e democratiche dovremmo avere orgoglio di aver portato Paese fino a questo punto, a discutere di ricostruzione, aperture e mascherine da togliere.

L’orgoglio di aver contribuito a cambiare l’Europa, e oggi battaglia è affinché cambiamenti siano strutturali. Next Generation EU non una parentesi legata all’ emergenza, ma un nuovo modo di essere. Ed è arrivato l’ok dell’Europa.

Come democratiche vorrei sottolineare che non abbiamo semplicemente elaborato delle proposte abbiamo offerto una visione, non a caso abbiamo parlato di Women New Deal: una lettura della crisi.

Abbiamo parlato di crisi della cura, in cui sono precipitati nodi strutturali, tra questi la disuguaglianza di genere.

E’ importante che il Presidente Draghi l’abbia denunciata come immorale e ingiusta, sono parole forti.

Il lockdown ha illuminato la parte oscurata del lavoro riproduttivo e gratuito delle donne, e di una schiera di colf e badanti, rendendo evidente la cura necessaria a mandare avanti la vita. Ha illuminato  per tutti una scena che noi donne conosciamo bene, ma in genere è rimossa. Si è posto anche tema violenza domestica.

E sono esplose le disuguaglianze che già segnavano le vite. Per esempio l’uso del tempo, ancora troppo diverso tra uomini e donne. Le fotografie prima dell’emergenza ci dicevano che mentre per gli uomini il 62,4% del tempo di lavoro totale è assorbito dal lavoro retribuito e il 37,6% da quello non retribuito, la situazione è più che capovolta per le donne, che concentrano il 75% del loro monte ore di lavoro quotidiano sul lavoro non retribuito. Del resto tra le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio preferisce il part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione.

In sintonia con altre donne abbiamo visto nel PNRR l’occasione per aggredire questione parità di genere che blocca Paese, non è solo un’ingiustizia per le donne, ma per farlo, per creare buona occupazione femminile, abbiamo evidenziato la necessità di investimenti in infrastrutture sociali, in condivisione del lavoro di cura

Oggi siamo a questo punto, un PNRR che all’inizio non aveva la parola “genere” in cui vive la trasversalità della questione di genere. Abbiamo ottenuto più fondi per servizi educati infanzia, meno di quanto avremmo voluto, ma di più, il fondo imprenditoria femminile, fondo infrastrutture sociale e la riforma della non autosufficienza. Come PD abbiamo ottenuto la clausola di condizionalità, un modo per fare delle transizioni ecologica, digitale un’occasione di creazione di lavoro femminile e giovanile.

La clausola va presidiata e va tenuta dentro una strategia di empowerment delle donne e di cambiamento Italia

Abbiamo imposto, non da sole, con le donne delle associazioni, dei sindacati, un’opinione pubblica femminile attenta, un tema nell’agenda politica italiana, quello della parità di genere. Un anno fa questa consapevolezza non c’era. E’ diventata una questione nazionale. Chiama in causa una questione maschile, che riguarda il potere, non solo quello politico, l‘informazione, il mondo accademico inizia a vedere le prime rettrici, la presidente del Cnr, la ministra.

Abbiamo presentato, prima firmataria Pinotti, un progetto di legge sulle nomine, per la promozione di una piena rappresentanza delle donne nelle istituzioni e nei luoghi delle decisioni, negli organi delle società pubbliche e private. Così come abbiamo progetti di leggi sulle statistiche di genere, fatichiamo ad averle persino sulla pandemia.

Sarebbero tanti i temi ma voglio sottolineare in particolare tre cose:

1) il nodo dell’autonomia economica e del lavoro.

Per affrontarlo sarebbe importante una conferenza governativa su lavoro delle donne – sappiamo che stiamo pagando il prezzo più alto della crisi, in un Paese che già registrava uno dei tassi di occupazione femminile tra i più bassi d’Europa, in particolare nella fascia 25 – 49 anni e nel sud Italia. Il lavoro delle donne chiede cambiamento nell’organizzazione sociale. Accanto al PNRR servono politiche di bilancio e di riforma tra queste la legge sulla parità salariale. Oggi Chiara Gribaudo, che ringrazio per la tenacia su questo tema, ha ottenuto in commissione alla Camera l’approvazione del testo unificato all’unanimità.

E su questo versante importante è anche il ruolo delle regioni, il Lazio ha appena approvato una proposta in tal senso.

Ma promuovere davvero occupazione femminile richiede una visione di sistema, politiche che liberino il tempo delle donne, che trasformino l’organizzazione sociale. Richiede comportamenti coerenti delle imprese nelle assunzioni e nella organizzazione della produzione, delle organizzazioni sindacali nei rinnovi contrattuali, delle amministrazioni pubbliche negli orari delle città. E’’ necessario un patto che metta al centro della ricostruzione l’obiettivo dell’occupazione femminile come volano di crescita e di cambiamento, di nuova convivenza.

2)  Il nodo della condivisione.

Questione che riguarda anche il sostegno alla genitorialità ma non solo, bene che da luglio diventi operativa la riforma importante dell’assegno unico. Adesso però servizi e soprattutto dobbiamo abbandonare l’idea che la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro sia un problema e un compito delle donne, non è così. Neanche l’Europa intende questo nella direttiva Direttiva 1158 del 2019 (Directive (EU) equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza. Anzi il tema è esattamente l’equa ripartizione tra uomini e donne delle responsabilità e del lavoro domestico e di cura, cioè la condivisione. In un paese come il nostro dove l’uso del tempo tra donne e uomini disegna una della maggiori disuguaglianze c’è necessità di politiche pubbliche importanti a sostegno del cambiamento. Ben vengano le proposte paritarie di riforma dei congedi. Adesso siamo impegnate come democratiche e come partito a rendere chiaro questo indirizzo nella legge delega del governo sulla famiglia. Ieri abbiamo tenuto la conferenza stampa di presentazione degli emendamenti, ringrazio il gruppo, Stefania Pezzopane, la presidente Serracchiani, la capogruppo in commissione Carnevali e il relatore De Filippo,. Abbiamo lavorato come Conferenza in accordo con il vicesegretario Provenzano, la responsabile welfare Brenda Barnini e le parlamentari, in particolare per quel che ci riguarda – ma sono vari gli emendamenti del PD – sull’articolo 4 che tratta la materia dei congedi, chiedendo chiaramente il congedo di paternità obbligatorio di tre mesi. Proposta del nostro programma del Women New Deal, su cui anche in sede di bilancio abbiamo proposto emendamenti, è dal 2013, da quando si introdusse il principio del congedo di paternità, che in sede di bilancio le democratiche provano a aumentarne i giorni. Quale migliore occasione della legge delega. E questa proposta deve diventare oggetto d’iniziativa politica diffusa.

3) il nodo che mi verrebbe da chiamare: “quanto è duro a morire il patriarcato”

A quarant’anni esatti dall’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore, nel 1981, la violenza maschile che colpisce la donne si consuma per oltre l’80% fra le mura di casa. Parleremo nella  prossima riunione del coordinamento a luglio, della violenza e dell’applicazione della Convenzione di Istanbul in Italia, anche in relazione al nuovo Piano nazionale che il governo deve, anzi avrebbe dovuto già fare. E su questo abbiamo il lavoro importante di Valeria Valente con la commissione d’inchiesta sui femminicidi, quello di Pina Picierno in Europa. Oggi voglio sottolineare che il conflitto sui diritti umani femminili, e non solo, attraversa l’Europa. Bene abbiam fatto a firmare contro la legge ungherese anti lgbtq, ma la stessa Convenzione di Istanbul viene messa in discussione, in Turchia, in Polonia.

Bene ha fatto Ursula von der Leyer a non lasciar correre sul “sofagate”: “Mi sono sentita ferita e lasciata sola: come donna e come europea. Non riesco a trovare alcuna giustificazione per il modo in cui sono stata trattata. Sarebbe successo se avessi indossato una giacca e una cravatta” e a rilanciare sulle politiche europee: “presenteremo una legislazione per prevenire e combattere la violenza contro donne e bambini – online e offline. E noi – questo è il mio secondo punto – proporremo di estendere l’elenco degli eurocrimini stabiliti nel Trattato, per includere tutte le forme di crimini ispirati dall’odio. Perché l’Europa deve inviare un segnale forte: i crimini ispirati dall’odio non sono accettabili. Perché dobbiamo assicurarci che le donne e le ragazze siano adeguatamente protette ovunque in Europa”

Credo che questo sia molto importante, che una figura istituzionale così importante non faccia finta di nulla, non metta tra parentesi il suo essere donna, anzi ne faccia occasione di proposta politica, Così la nuova vicepresidente degli Usa, Kamala Harris appena eletta, ha ricordato le battaglie del passato e rilanciato sui sogni ambiziosi delle bambine.

Questa sorellanza deve vivere nel nostro impegno su violenza, penso ai matrimoni forzati, al terribile destino di Saman Abbas, a come decliniamo il contrasto ai femminicidi in un contesto di migrazione, insieme alle donne coinvolte. Come facciamo una battaglia contro il patriarcato davvero intersezionale.

E a proposito di patriarcato e di diritto di famiglia è davvero tempo di approvare la trasmissione del cognome materno. Abbiamo due disegni di legge, uno firmato da Laura Boldrini alla Camera, l’altro che si sta depositando al Senato. Entrambi si ispirano a testo approvato dalla Camera dei deputati nella XVII legislatura, dopo che la Corte costituzionale nel 2006 aveva parlato dell’automatismo nell’attribuzione del cognome paterno ai figli come «di un retaggio patriarcale e tradizionale della famiglia» (sentenza n. 286 del 2016).

In conclusione voglio ribadirlo chiaramente: non siamo un capitoletto. Siamo più di metà della popolazione. E abbiamo un’intenzione politica, di costruire un Paese a misura di donne e uomini, più giusto. E dobbiamo farlo adesso, in questo momento storico in cui bisogna ricostruire senza dimenticare le ferite. Abbiamo imparato cosa è essenziale e quanto la politica debba avere a cuore la dipendenza reciproca e la vulnerabilità di noi essere umani e del pianeta.

Mi affido ancora ad un verso scritto da donna, che già mi è capitato di citare ma che per me è stato una bussola nell’attraversare la pandemia:

La competenza dei salvati

dovrebbe essere l’arte – di salvare

Sono parole di Emily Dickinson. Non dimentichiamolo più. Facciamo che questa arte sia al centro della politica. Servono pensieri nuovi per un tempo nuovo.

 

 

 

 

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