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Feminists: una storia infinita

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Pubblicato su femministerie
Dal 12 ottobre si può vedere su Netflix Femministe, ritratti di un’epoca – titolo originale: Feminists: What Were They Thinking? – qui il trailer.

Il racconto della regista Johanna Demetrakas parte da un libro di fotografie di Cynthia MacAdams del 1977, ritratti di donne, artiste, scrittrici, cantanti, attiviste, colte nel momento dell’esplodere del femminismo. Una nuova nascita, così appare nei ricordi delle intervistate, la propria presa di coscienza. Irriducibili singolarità di donne scoprono il proprio valore grazie al femminismo, epifania collettiva del genere. “C’era un’onda e volevo cavalcarla”. A parlare sono Jane Fonda, Gloria Steinem, Lily Tomlin, Judy Chicago, Laurie Anderson, Michelle Phillips, Margaret Prescod, Phyllis Chesler, Anne Waldman, per citarne solo alcune.

Protagoniste della ribellione al modello di virtù femminili, all’educazione domestica. “Donne si diventa”, aveva scritto Simone de Beauvoir nel Secondo sesso, e Jane Fonda ricorda l’esuberanza che ogni ragazza conosce e come questa venga rinchiusa, mortificata, seppellita. “Fai la brava”, è il refrain del disciplinamento continuo. Tutte educate a “guardare i ragazzi da bordo campo” (Celine Kuklowsky). Negli anni 70 la grande rivolta e le ragazze finalmente disobbediscono.

E così facendo smettono di vivere in una prospettiva maschile. “Gli uomini dettano alle donne le regole della procreazione”, ma adesso le donne vogliono decidere e chiedono contraccezione e aborto legale. Scoprono che “esistono gli orgasmi” e la bellezza del proprio corpo. In molte foto le protagoniste sono nude. Orgoglio di un corpo femminile, non più proprietà della pornografia. Dunque donne si nasce. E si può essere libere, autonome, felici. Lily Tomlin sul palco racconta la storiella dell’uomo che si avvicina a quattro donne sedute al bar: “che ci fate lì, tutte sole?”. Judy Chicago invita le artiste a sperimentare il proprio punto di vista. A Los Angeles nasce The Woman’s Building.

Etero, lesbiche, afroamericane, ebree, cattoliche, ricche, povere. “Eravamo sorelle, la sorellanza è potente, ma venivamo da famiglie molto diversificate, e bisognava riconoscerlo” (Margaret Prescod). Era difficile per quelle di colore rivendicare il proprio femminismo nel movimento antirazzista, era difficile nominare finalmente la propria omosessualità “la differenza disprezzata”. Era dura per le lavoratrici. Dolly Parton, Jane Fonda e Lily Tomlin interpretano Dalle 9 alle 5 (1980), dando voce al malessere di milioni di segretarie.

Ma era dura per tutte. Potevi essere la coautrice di California Dreamin, come fu Michelle Gilliam Phillip insieme al marito John, ma venire licenziata, da quello stesso marito, e ritrovarti a dover ricominciare daccapo, senza soldi.

Tutte queste donne erano alla Women’s March on Washington del 21 gennaio 2017. Le immagini di quella giornata vengono riproposte durante il racconto, il rimando al tempo presente è continuo, nelle domande dell’intervistatrice, nelle parole di chi risponde, negli interventi delle più giovani. Il femminismo è vivo. La ragazza con la madre al corteo vorrebbe non dover lottare per le stesse cose, ma non se lo può permettere. Eppure non ricomincia da zero, e lo sa. Non ha dovuto diseppellire la propria esuberanza, è stata libera di crescere con lei. E mentre nel mondo avanza il nuovo machismo illiberale, potrebbero essere proprio giovani donne libere quelle più capaci di contrastarne il disegno

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