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Una manovra contro le donne

Tra le tante ingiustizie della manovra già approvata al Senato, colpisce il tratto misogino. Viene da pensare a una vera e propria vendetta nei confronti delle mobilitazioni di quest’anno. Se non ora quando, movimento, che ha fatto parlare di sé in tutto il mondo e che così tanto ha inciso nella crisi di consensi di questa maggioranza, ha avuto al centro della sua mobilitazione la necessità di una riforma del welfare e della nostra economia. Questa finanziaria si muove in direzione contraria e l’opposizione politica e sociale farebbe bene a dirlo di più.

Vediamo perché. 1. Come ha scritto Chiara Saraceno su La Repubblica di giovedì, questa finanziaria colpisce le donne due volte: come lavoratrici e come persone sulle quali ricade quasi esclusivamente un doppio, talvolta triplo, lavoro di cura. Chi, se non le donne, pagherà il prezzo principale dell’articolo 8 che cancella, di fatto, le tutele previste dai contratti nazionali e dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori? Chi si accollerà i 16 miliardi di tagli alle agevolazioni assistenziali nel 2012 e nel 2013? E su quali vite incideranno i minori servizi sociali che saranno erogati dagli enti locali a seguito dei tagli? Ma non bastava: le donne sono la maggioranza dei dipendenti pubblici i cui rinnovi contrattuali sono bloccati per tutti i prossimi anni; sono la maggioranza degli insegnanti a cui sono bloccati gli scatti di anzianità; e sono la stragrande maggioranza di chi lavora nel welfare, e quindi subiranno i tagli di cui si diceva sopra una volta di più. C’è poi il furto più grande: il percorso per l’innalzamento dell’età pensionabile nel settore privato è anticipato al 2014, una misura che porterà, a regime, a risparmiare 720 milioni di euro l’anno. Neanche un centesimo sarà reinvestito per rafforzare i servizi, liberando quel lavoro di cura ancora tutto sulle spalle femminili. Dire che questa manovra è contro le famiglie è riduttivo e ipocrita: questa finanziaria sposta ancora di più il peso dell’assistenza dalla collettività (i servizi pubblici finanziati dalla tasse) alle donne.

2. Eppure, l’appello di Se Non Ora Quando dell’8 marzo potrebbe essere la base di un programma di alternativa: chiedeva, tra le altre cose, la fine della precarietà, la libertà di scelta su quando essere genitori, “Congedo di maternità per tutte. Congedo obbligatorio di paternità. Norme che impediscano il licenziamento “preventivo”: niente più dimissioni in bianco.” Una norma che il governo Prodi del 2006 aveva introdotto e che questo governo Berlusconi ha subito abolito. Scrivemmo qui quanto costerebbe fare una politica seria di asili nido: 1 miliardo e mezzo in 3 anni per creare 5.000 asili nido. Solo l’innalzamento della tassazione delle rendite finanziarie al 23% produrrebbe 2 miliardi l’anno. Un governo serio, una coalizione che si dica riformista, dovrebbe essere in grado di fare queste scelte ed altre ancora: decidere di rivedere tutte le convenzioni con la sanità privata e investire quei soldi nel miglioramento delle condizioni di lavoro di infermieri e assistenti sociali (quale genere è in maggioranza in queste categorie così precarizzate oggi?) nonché nella creazione di una vera rete di assistenza per i non autosufficienti.

3. A dispetto del merito e della competenze femminili che ogni giorno arricchiscono la vita del nostro paese, gli stipendi delle donne sono sempre più bassi di quelli degli uomini. Secondo le Acli, ogni giorno una donna italiana guadagna 27 euro in meno dei suoi colleghi uomini. Ogni giorno. I leader dei sindacati e il ministro del Lavoro che sostengono l’articolo 8 della finanziaria ci spieghino come aiuta a risolvere questa ingiustizia e come aiuta il Paese ad aumentare l’occupazione femminile. Straordinaria coincidenza, sono tutti e 3 uomini mentre la leader dell’unico grande sindacato che si oppone a quella misura è una donna. Come se ciò non bastasse dobbiamo anche sopportare la volgarità e la miseria dell’armamentario di barzellette di una classe politica il cui fallimento è sotto gli occhi di tutti. La scommessa di Se non ora quando è stata anche quella di mostrare che il miglioramento delle condizioni di vita delle donne è benessere guadagnato per tutti.

Non possiamo consentire che la crisi sia usata contro di noi. Bisognerà essere di nuovo insieme, costringere il dibattito politico a fare i conti con queste domande. Ne va del futuro di tutti, della qualità civile del nostro paese, della credibilità delle opposizioni e di una possibile alternativa.

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