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Le grida di Alemanno e la violenza contro le donne.

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Ha fatto molto clamore il terzo stupro in dieci giorni a Roma. Il primo era avvenuto a villa Borghese, il secondo a via San Sebastianello, vicino Piazza di Spagna, e l’ultimo nell’edificio abbandonato dell’ex ambasciata somala in via dei Villini, vicino via Nomentana. Prima una ragazza americana, poi una studentessa, quindi una ventenne. Mi sento vicina a queste tre donne e spero che si stia facendo tutto il possibile per assisterle e aiutarle ad affrontare questa ferita. Penso che la loro terribile esperienza meriti che se ne parli con serietà.
La sequenza di violenze sessuali ha subito fatto gridare all’emergenza, anche se il Prefetto si è affrettato a tranquillizzare, a spiegare che non è vero che ci sia un’escalation di reati.
Il Sindaco Alemanno, colpito sull’onore, promette fuoco e fiamme. Identifica i rifugiati, che alloggiavano in terribili condizioni presso l’ex ambasciata somala, come la causa della violenza. La ricetta è quella già nota: espelliamo, bonifichiamo, ripuliamo. Sabato sera questo ha significato che almeno 72 persone sono state lasciate sole, a vagare per Roma. Abbandonate qualche metro più in là. Un po’ come era successo agli immigrati di Rosarno accompagnati in una stazione ferroviaria calabrese e lasciati al loro destino.
Ascoltando le grida di Alemanno verrebbe da dire che chi è causa del suo mal pianga se stesso. La memoria mi ha riportato indietro, ai terribili giorni in cui morì Giovanna Reggiani. Ero assessore alle Pari Opportunità del Comune di Roma. Ricordo la dignità e lo strazio della famiglia, della comunità valdese, della Marina, stretta accanto al marito della vittima. Ricordo anche le polemiche sollevate, Fini alla stazione di Tor di Quinto, la destra in prima fila ad incolpare il Comune che non riusciva a garantire sicurezza. Sono stati giorni di svolta per la città e di cedimenti culturali per il centrosinistra. Alemanno ha vinto le elezioni anche perché ha cavalcato questa campagna, promettendo una città sicura, che ora non riesce a garantire.
Intanto perché la sicurezza non è sinonimo di ordine pubblico, di repressione. Non saranno un piano di sgomberi, più poliziotti nelle strade, più telecamere a rendere sicura Roma. Sicura è una città viva, partecipata, solidale. Sicura è una città che investe in politiche sociale e culturali. Sicura è una città che investe sul dialogo e la convivenza. La Roma di Alemanno è invece una città desertificata. Dunque è inutile che Alemanno si stracci le vesti: va fatto l’opposto delle scelte messe in campo fino ad oggi dalla sua giunta per rendere Roma più sicura.
Ma anche la città sicura e solidale non basterà a garantire l’inviolabilità del corpo femminile. Forse arriverà a far calare le violenze di strada. Sappiamo però che la gran parte delle violenze sessuali avviene nelle case, tra le mura domestiche e non viene denunciata.
La violenza sessuale non è un’emergenza del momento. Lo sanno le donne che lavorano nei centri antiviolenza, che organizzano i corsi nella scuole per discutere di sessualità. Qui entrano in ballo altre cose. La violenza sessuale continua ad essere problema che riguarda le relazioni tra uomini e donne, è figlia di una concezione possessiva e predatoria della sessualità maschile. Interroga una cultura machista oggi molto in voga nel nostro Paese.
Il 13 febbraio abbiamo chiesto agli uomini di distinguersi da questa cultura. In tanti sono venuti e hanno preso parola. La strada da fare è ancora tanta, ma se questa parola non resta in campo e non si dà forza non riusciremo a fare i conti fino in fondo con la violenza maschile contro le donne.
Cecilia D’Elia

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